Ci sono citazioni che, decontestualizzate, risultano bizzarre, incomprensibili, prive di contenuto, una serie di parole messe insieme più per il loro suono o colore o atteggiamento che per indicare davvero un pensiero, una convinzione, una scelta. Altre, invece, sembrano significare l’esatto contrario del loro autentico, genuino senso, in un grottesco ribaltamento in cui metà delle persone, intuiti i passaggi mancanti, scuotono la testa con mestizia, mentre l’altra metà, ipotizzando retroscena simpatici, ridacchiano di gusto. Un esempio è la frase che ho sfruttato come titolo di questo post, e che ho visto troneggiare in varie bacheche feisbucchiane, da mercoledì pomeriggio, quando ha iniziato a diffondersi la notizia della morte di Agota Kristof. È un classico dei social network: un personaggio più o meno noto viene meno e centinaia di admin di pagine e gruppi iniziano a spalmare stralci di libri o brani di canzoni, che legioni di ignari corrono a condividere a scatola chiusa. Ecco perché una frase terribilmente triste e malinconica e asciutta e per nulla auto-commiserante come quella che Mathias rivolge a Lucas nella seconda parte di Trilogia della città di K. può finire per essere scambiata per una provocazione giornalistica da epoca di escort e veline e nudità varie. Meraviglie dei social network, davvero.
Ci sono libri che cambiano il tuo modo di esistere, di pensare, di stare al mondo. Non in maniera diametrale, è chiaro, ma in modo sottile e pervasivo, costante. Trilogia della città di K. è un libro difficile, complesso, intrigante. Uno dei più belli e tristi e angoscianti che abbia mai letto in vita mia. È un romanzo che non offre soluzioni né vie di fuga, non lascia spazio alla speranza, a una visione conciliante o possibilista del mondo; è duro e crudo, pieno di personaggi provati e stanchi e abbrutiti. Non cattivi né immorali, piuttosto amorali, costretti a costruirsi un’etica ad hoc in un mondo che sfugge alla comprensione, come sfugge al lettore la distanza insondabile tra verità e finzione, realtà e incubo. Tocca temi complessi e poco politicamente corretti, la Kristof, e lo fa senza paura, con pudore e sincerità, con pulizia e chiarezza, senza cedere al compromesso di edulcorare per non sconvolgere. Non sono angelici, i bambini di questo libro; sono spesso spietati, a volte curiosi, sono riflessivi e insicuri, crudeli e teneri e feriti. Sono disperati e soli e rabbiosi e sensibili anche gli adulti, i padri lontani, le madri andate via, le nonne che sembrano streghe e forse non lo sono. Ha uno stile particolare, Agota Kristof. Uno stile che cambia con il mutare delle voci, ed è freddo e distaccato nella prima parte, sfuggente e confuso nella seconda, onirico e trascendente nella terza. Che può raccontare qualcosa di osceno come la morte di un bambino con una dolcezza strappa-lacrime. È l’esatto opposto del romanzo ruffiano, quello che compiace il lettore e lo fa sentire onnisciente e forte; è un libro pieno di sentimenti e parole e concetti duri e gelidi e mostruosi e delicati, un libro complesso e stupendo. Lo consiglio, di cuore, a tutti.
In ricordo di Agota Kristof.
Sono commossa. è il più bell’elogio che ho sentito fin ora. Grazie!
grazie a te! 🙂
Mai letto nulla della Kristof, solo sentito parlare del suo libro “Trilogia della città di K”. Gli aggettivi che lo descrivevano e che adesso hai usato, anche tu, “osceno, crudele, morte, gelido”, mi hanno sempre spaventato e tenuto lontano, da lei, dai suoi libri. Mi sono detta, forse non la leggerò mai. Da stasera, dopo il tuo saluto alla scrittrice, terrò in mente anche gli altri aggettivi, “tenero, dolce, delicato” e magari mi verrà voglia di fare la sua conoscenza: perchè, anche se banale, non è mai troppo tardi. E chissà forse la sig.ra K m’insegnerà la capacità di prendere le distanze (anche se credo sia solo riuscita a renderla nei suoi libri) necessaria all’esistenza.
Grazie Bonjour.
grazie a te. prova a leggerlo, ci sono pagine che mi hanno commossa fino alle lacrime, e immagini che non si dimenticano. come un bambino che ha paura del buio, e un padre che non è suo padre che tenta di fargli compagnia.
non mi basterà il resto della vita per riuscire a leggere tutto quello che hai già letto tu.
ma prendo nota. di tutto.
laMate, e tutto quello che hai letto tu dove lo metti? ci sono milioni di libri che non conosco e tu sì. e spesso mi fanno troppa paura, per leggerli… ma prometto che tenterò. un bacio
cerco sempre “il momento perfetto” per affrontare una lettura che so mi metterà a dura prova. non per paura, ma per essere pronta ad “accoglierla” senza che nulla mi distragga, per non lasciarmi sfuggire un solo granello.
i racconti de “la vendetta” sono stati il mio primo incontro con la kristof. senso di smarrimento e umanità, perdita e ricerca dell’identità: questo ho trovato in quella raccolta di “poesie” dolorose.
hai usato le parole migliori per ricordarla. raccontarci chi era, cosa ci ha lasciato, il suo messaggio.
la retorica é sempre in agguato in questi casi. ma si riconosce subito perché ha la funzione di accendere i riflettori su chi parla, piuttosto che su chi vogliamo ricordare, celebrare. come sempre, per fortuna, non é questo il caso.
grazie, anna. di ‘la vendetta’ conosco solo alcuni mini-racconti, e li ho trovati agghiaccianti e stupendi