Uscire da casa ogni mattina troppo tardi: solo pochi minuti di sfalsamento tra orario corretto e orario effettivo che causeranno una slavina di piccoli inconvenienti – semafori inesorabilmente rossi, parcheggio desolantemente pieno – che si tradurranno in un buon quarto d’ora di tempo sottratto alla mia routine quotidiana del buongiorno-in-ufficio. Pensare che basterebbe riuscire a rosicchiare cinque minuti alle laboriose pratiche di preparazione all’uscita: ma significherebbe sottrarre cinque minuti alla lettura di quel giallo che finalmente sta prendendo quota, e quindi pace, sarò in ritardo anche oggi.
Lasciare cuocere sempre un po’ troppo la frittata: una manciata di secondi in più e lo splendore dorato di uno dei mie piatti preferiti lascia il posto a un bronzo tristanzuolo e poco invitante, vagamente aggressivo, con un fondo amarognolo di rammarico da occasioni perdute. Oppure riuscire a preparare un’ottima frittata, con tutti i crismi richiesti, e scoprire di non avere in casa del pane adatto: perché la frittata senza pane non ha senso, diventa la concretizzazione dell’inutilità, la realtà visiva e gustativa e olfattiva della solitudine, del nulla cosmico, del vuoto siderale. E non basta un pane qualsiasi, no: serve pane di rimacinato, senza cimino, con la crosta croccante e la mollica rustica, non troppo soffice: un pane-da-frittata, ecco. Serve un pane ad hoc: e senza pane, meglio fare due uova al tegamino.
Cercare disperatamente un libro-che-ne-valga-la-pena, e imbattersi in una mezza dozzina di romanzi melensi, saggi interessanti ma verbosi ai limiti dell’autoreferenzialità, raccolte di racconti lunghe e tortuose e incongruenti. Saltare da molti mesi da uno all’altro, senza concluderne nessuno: avere sul kindle sei o sette ebook distesi a pancia all’aria, con le palline del livello di lettura inesorabilmente ferme a metà e l’indice di velocità che tuona che mancano ancora due ore e quarantanove minuti alla fine di quel romanzo che comunque, bah, non ti lascerà niente.
Passare un intero pomeriggio in uno stand in plastica in una piazza semi-deserta, con una fauna di ragazzini non-interessati e giovani uomini e donne delusi e scocciati per la poca gente e il tempo nuvolosetto e il cibo freddo e il disastro economico imminente, con la batteria dello smartphone che tende pericolosamente allo zero e il solo desiderio di smettere di dire “prego, prenda un segnalibro” in maniera atona e intermittente.
Pensare di aver lottato contro i mulini a vento e di non aver ottenuto nulla, ma che comunque non se ne sarebbe potuto fare a meno.
Buon compleanno, laMate: come vedi, ci ho provato.
non posso dire che grazie, bonjour. sei riuscita a commuovermi anche stavolta. e io non amo particolarmente le frittate. però ne faccio tante, quelle senza uova.
oh, matina… :*
Al piacere di leggere una prosa accattivante, si aggiunge l’ansia da prestazione per le fregnacce che scrivo che, nell’intenzione, dovrebbero essere funzionali a ciò che voglio comunicare, nella realtà vengono fuori pasticciate e, nella migliore delle ipotesi, come dici tu, ….”verbose e al limite dell’autoreferenzialità
penso che sia un dubbio che attanaglia tutti noi 🙂