Quanto conta la forma, e quanto il contenuto? A volte la forma è essa stessa un contenuto, è una scelta e un valore quasi più del contenuto; un’assenza di contenuto può essere supportata da una bella forma, ma un bel contenuto non può fare a meno di una qualsiasi forma. Come si esprime il contenuto, senza la forma? Come si pronuncia, o si raffigura, come lo si guarda o ascolta? Cosa preferite, voi, la forma o il contenuto?
Qualcuno dice che, con le dovute forme, si possa dire tutto. Forse esagera, anzi, di sicuro lo fa; ci sono cose che non si possono dire mai, la cui sostanza è troppo caustica per qualsiasi forma, troppo violenta, in ogni forma, per qualsiasi orecchio: ho ragione io, è solo colpa tua, odio tutti, quella persona non vale niente, non lo farò mai, non mi piace la nutella, ho la certezza assoluta di qualcosa. Esclusi i casi-limite, però, la forma è fondamentale, può rendere digeribile un contenuto angosciante offensivo doloroso, può aiutare a mandar giù qualcosa di inaccettabile, di brutale e schifoso e ingiusto: abbiamo fatto tutto il possibile ma stava troppo male, non lo rivedremo più, le faremo sapere, non posso prometterti niente, forse ci ritroveremo, hai fatto del tuo meglio.
Dei libri, amo la forma come e più del contenuto. Come uno stupendo quadro astratto, dove il colore, la pennellata, il tocco, il ductus, l’armonia, l’equilibrio delle forme compongono una gestalt che mi fa star bene, così ci sono testi in cui il carezzevole chioccolio delle sillabe mi manda in visibilio. Mi fa impazzire l’argomentare di Adriano Sofri, ad esempio, ma ancor di più amo il modo in cui fila ogni parola, come un tessitore elegante e di mano leggera, la fa scorrere sulla penna e sul foglio bianco e nella mia mente e sulla mia lingua in un unico fluido movimento. Quando penso a un libro in cui la forma pura, svincolata dal contenuto, è essa stessa il contenuto, in un gioco di specchie e rimbalzi che deve aver divertito l’autore e il suo insigne traduttore prima ancora del lettore, mi viene in mente quel capolavoro che è Esercizi di Stile di Raymond Queneau. Una buffa insignificante storiella raccontata in novantanove modi diversi, in una maniera che cambia e si deforma, si stira e tende e rilassa e riaccorcia, si storce e raddrizza e vibra e si nasconde che fa girar la testa. È un piccolo capolavoro, un non-romanzo surrealista da non leggere in un sorso solo, ma da piluccare e spizzicare come un grappolo d’uva, come una torta alla frutta secca da mangiare staccando le prozioni con le dita, in piedi davanti al bancone di cucina, pensando ancora un altro po’ e smetto, solo questo pezzetto qui e basta, altre due briciole e la pianto, però è buona, eh.
forma e contenuto da dieci!
forse il contenuto, ma non la forma… sei troppo buona :o)
anche la forma!
troppo buona anche tu, mate…
Dal liceo (45 e passa anni fa…) sono rimasta crociana; contenuto e forma devono essere entrambi d’alto livello, si completano, si integrano, si rincorrono in una gara d’abilità.
Il contenuto però può essere evanescente, quasi inafferrabile, una sorta di trina d’aria che la forma materializza un po’, ma non troppo: il genere surreale è il mio preferito…
che bell’immagine, la trina d’aria… sono perfettamente d’accordo con te! 🙂
http://www.youtube.com/watch?v=3Q0oV1M2pas#t=2m10s
questo è il “mio” prof di estetica… qua riassume, in poco meno di 7 minuti, mesi e mesi di lezioni su forma e contenuto… e da qui prendo spunto per le mie divagazioni sulla forma e sul contenuto 😛
‘azie, luigi!