Sono sempre alla ricerca di qualcosa da leggere: per questo motivo sono solita rovinare le pause caffè delle mie colleghe lagnandomi perché non riesco a trovare un libro che faccia per me. Tra un sorso di orribile decaffeinato marca Kalipso e un morso a un biscotto rimasto nella credenza della casa editrice da ere geologiche precedenti, le tre malcapitate provano giornalmente a suggerirmi un titolo che non mi annoi e, impresa ancora più complessa, non mi spaventi. Qualche decina di giorni fa, una di loro ha timidamente avanzato una proposta: potevo provare a leggere un romanzo che lei aveva divorato qualche giorno prima, a patto di assumermene personalmente la responsabilità: lei, infatti, non garantiva che il libro non mi avrebbe gettata nello sgomento. Per facilitarmi nell’impresa, mi ha raccontato molto dettagliatamente la trama: l’ho rassicurata, dicendo che non mi spaventano le violenze domestiche e che, se un omicidio plurimo viene portato a termine a colpi di pistola, non mi turba in maniera eccessiva. Eccomi, allora, alle prese con “L’Avversario” di Emmanuel Carrère, un libro che finalmente mi sta piacendo moltissimo. Tratto dalla storia vera di Jean-Claude Romand, un uomo francese che, dopo una vita costellata di bugie, vistosi scoperto ha ucciso moglie, figli piccoli e genitori, mi sta ricordando molto da vicino “A sangue freddo” di Truman Capote, un libro che ho amato molto. Fa un po’ paura, “L’Avversario”, è vero: ma sono riuscita a risolvere il problema poggiando il kindle sotto il letto, durante la notte, anziché sotto il cuscino o sul comodino come faccio sempre. È un libro scritto – e tradotto! – in maniera magistrale: asciutto senza essere sintetico, preciso e pulito e privo di sbavature. Per il protagonista l’autore non prova pietà, ma neanche odio o raccapriccio: intento nell’impresa di comprenderne le motivazioni, ha il piglio di uno scienziato che cerchi di evidenziare tutte le caratteristiche del fenomeno che sta osservando. C’è stupore, questo sì: perplessità mista a scetticismo nei confronti di amici e familiari che non hanno messo insieme i pezzi del puzzle, non si sono chiesti il perché di stranezze e reali assurdità, non hanno mai indagato, si sono fermati alla superficie. Senza condannare le vittime, Carrère si limita a chiedersi come abbiano fatto a non vedere, non accorgersi, non capire.
In questi giorni, oltre a cercare libri che mi stimolino, sono anche alla ricerca di ricette che mi facciano venire voglia di stare un poco ai fornelli. Dato che i miei zii hanno omaggiato i miei geinitori di sei chili di uva fragola del loro giardino, ho scandagliato il web fino a trovare la ricetta della focaccia con l’uva. Una pasta di pane molto semplice, impastata, dopo la prima lievitazione, con olio d’oliva e poco zucchero, divisa in due parti e stesa in due strati sovrapposti, ciascuno dei quali viene cosparso di uva. È venuta molto soffice e gustosa e penso che, al netto dello zucchero, possa essere preparata anche con olive o pomodorini o altro. Tenterò, chissà che non ne venga fuori qualcosa di buono.
Meravigliosa l’uva fragola per un sugolo eccezionale. Sugo d’uva, farina e zucchero…trovi ricetta e dosi su google…se la trovo te la scrivo. Che prelibatezza!