I capelli che non stanno su, quando sono appena lavati e scivolano via dai fermagli e anche tirandoli indietro più e più volte continuano a scappare e sgusciare e sfuggire, dandomi un’aria da gufo affetto da ulcera peptica. Le persone che mi chiedono perché non mi taglio i capelli. Il sole negli occhi, ma anche gli occhiali scuri, quando sudo e mi slittano giù dal naso o quando sto posteggiando l’auto nel box e tutto a un tratto dalla luce abbagliante passo al semi-buio fresco e arioso del garage.
La persone monotematiche, quelle che parlano solo di pittura a olio o di cottura dell’alce marinato o di romanzi illustrati per adolescenti. Quelle che mi pressano, e non smettono un secondo di pungolarmi e chiedermi dettagli e sottolineare imperfezioni e dare per scontato mancanze. Quelle che by-passano regolarmente il “come va?” per planare direttamente al “sono triste/nervoso/arrabbiato e voglio parlartene fino a stordirti”. Quelle che, in fila alla cassa del super, sistemano gli acquisti sul nastro in ordine di colore, di grandezza o di sportello in cui verranno conservati, mentre io digrigno i denti e ballonzolo su un piede e sull’altro e di nuovo sul primo e sull’altro, stringendo tra i polpastrelli sudati tre yogurt e un avocado.
Il riso, quando passa in un nanosecondo dallo scricchiolare sotto i denti all’essere tristemente molliccio. I pomodori senza sapore, le pere che diventano marmellata nel lasso di tempo dal fruttivendolo a casa, la mozzarella sulla pizza che diventa dura mentre sto ancora addentando il primo quarto. I bar che non servono l’estathè.
Le riunioni troppo lunghe a lavoro, quelle che iniziano con interminabili preamboli e si concludono con tutti che si alzano sbuffando e sgranchendosi le gambe. Le discussioni in cui non ci si ascolta. I lunghissimi sproloqui su fb, quando qualcuno si sente immotivatamente esperto in qualcosa e pensa di avere il dovere morale di farlo presente più e più volte agli astanti.
Le persone che usano i social media per lanciare messaggi obliqui ad altri, e scrivono post incomprensibili del tipo “la gente usa i social media per lanciare messaggi obliqui ad altri”, sentendosi molto intelligenti e sembrando, invece, mediamente patetici. Quelli che scrivono status in cui dialogano con se stessi, o parlano in codice o in lingue sconosciute alla maggior parte dei propri contatti; quelli che, nei gruppi, si lamentano delle polemiche altrui, scrivendo post polemici che vengono commentati innescando numerose altre polemiche.
Quelli che “gli animali sono meglio di noi”, o “io non mangio animali morti”, o “è facile fare i buonisti”. Tutti coloro che usano la parola “buonisti”.
Le discussioni su pro e contro della lettura tramite ebook reader, le terrificanti menate sull’odore della carta, la retorica sulle librerie piene di tomi polverosi opposte alle gelide cartelle sul desktop di un pc. I commessi dei negozi, quando mi guardano stupiti e perplessi alle assurde richieste “vorrei vedere una gonna blu” o “avete l’ultimo libro di Camilleri?”. Le domande stupide, del tipo “hai tagliato i capelli” di fronte a qualcuno che ha visibilmente e inequivocabilmente tagliato i capelli.
Tra le cose che non mi infastidiscono ma, al contrario, mi piacciono, c’è il momento in cui qualcuno mi consiglia un libro: anche se a volte quel consiglio lo recepisco con anni di ritardo. Adesso ho per le mani Le gesta di re Artù e dei suoi nobili cavalieri di John Steinbeck, che mio padre tenta di farmi leggere da quando avevo dodici anni; è bello, è dolce, non fa paura: mi sta proprio piacendo.