Ossessioni letterarie, ovvero del regalo perfetto.

Ci sono regali che cambiano la vita: un anello, una rosa, un’auto, una casa, una coperta matrimoniale viola donata perché sia il primo passo di una vita insieme. Ce ne sono altri che fanno tenerezza, altri ancora che si ricordano con un sorriso: un vecchio nastro rosa ricevuto da una cuginetta bambina, un pupazzo a forma di pulcina con fiocco in testa che prima pigolava davvero, un pinguino che scala una montagna alta due metri. Infine, ci sono quei regali che, fatti (e ricevuti) quasi con indifferenza – oh, guarda, un nuovo fascicolo del corso di ebanisteria a puntate -, finiscono col mostrare il loro potere dirompente sulla lunga distanza, diventando il punto focale di una vera e indiscussa ossessione. Per me, l’esempio classico di regalo-mania sono i primi due volumi della serie Il club delle baby-sitter, che ho trovato sotto l’albero di casa dei miei nonni, la vigilia di Natale 1993.

Erano due smilzi volumetti dalle goffe copertine, avvolti in carta decorata con piccoli pupazzi di neve; le pagine erano di un assurdo rosa confetto, la collana si chiamava I rosa da passeggio, e l’indicazione sulla fascia d’età indicava “dai nove anni in su”; non l’ho mai disattesa: infatti, i libri del club delle baby-sitter li leggo ancora ora, che ho ben più di nove anni.

La scelta del regalo era stata appannaggio di mia zia, che, ignara di starmi consegnando l’oggetto-feticcio della mia infanzia e adolescenza, si era limitata ad esclamare ne ho presi due perché sono piccolini, poi se ti piacciono compriamo gli altri. Sono arrivata al volume 78, e mi sono fermata solo ed esclusivamente perché non sono stati più tradotti in italiano; intanto, le piccole protagoniste della serie sono passate da quattro a sette, hanno frequentato la seconda media nella ridente cittadina di Stoneybrook, Connecticut, hanno fatto vacanze al mare e in montagna e, ovviamente, hanno fatto le baby-sitter per migliaia di bambini: americani, stranieri, sani, disabili, simpatici, viziati, ingestibili. Hanno creato squadre di softball e organizzato feste, hanno fatto volontariato e sventato rapimenti, hanno assistito a cambiamenti epocali (divorzi, nuovi matrimoni dei genitori, traslochi da una costa all’altra degli States, malattie, morti), hanno frequentato anche la terza media e, dopo una nuova, eccitante estate, sono tornate, inspiegabilmente, in terza media; sì, perché, non so se a causa di un errore nella traduzione italiana e nell’organizzazione della collana (che col tempo ha cambiato formato, grafica e colore delle pagine, che ora sono arancioni) da parte della Mondadori, o a causa di una deliberata scelta dell’autrice, la cronologia delle storie ha poco senso. Ma, tolto ciò (e migliaia di altre piccole inesattezze e incongruità, per cui, ad esempio, una persona divorzia, si trasferisce dalla California al Connecticut, trova un nuovo compagno, si risposa e sono passati solo una manciata di mesi), la serie del club delle baby-sitter è, per me, una vera e propria droga. È scritta in maniera simpatica, le avventure delle ragazzine sono divertenti e appassionanti, la morale sottintesa mi piace: è una collana adattissima a lettrici e lettori di dieci, undici, dodici anni; oltre che a me, naturalmente.

Per anni, i volumi hanno continuato ad uscire, a cadenza di due al trimestre: con copertine incoerenti, soprattutto all’inizio, e con traduzioni davvero agghiaccianti, ma con una certa continuità; poi, improvvisamente, la serie è stata soppressa: e io non saprò mai se Dawn è tornata a vivere con la madre, se Claudia ha trovato il grande amore e se Mallory si è ripresa dalla mononucleosi. Spinta dalla disperazione, ho tentato la strada della tecnologia, e ho acquistato un ebook originale: ma non c’è lo stesso gusto, e io non sono brava a leggere in inglese, e poi ho scoperto che, in America, la serie è arrivata al trecentesimo volume, e ci sono rivoli e sotto-serie di cui non conoscevo l’esistenza, e addirittura, ormai, del club fanno parte le sorelline minori delle protagoniste. Per cui, pace: continuerò a rileggere sempre le stesse vicende, e peccato se le ricordo a memoria: un’ossessione è sempre un’ossessione.

Mia zia, ancora adesso, scuote il capo e conferma: non si aspettava proprio niente di simile, quando ha scelto quei due volumetti da regalarmi per Natale, insieme alla vestaglia con i coniglietti.

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