Animale a chi?

Per motivi che sarebbe lungo spiegare, da un mese a questa parte mi trovo a contatto con vigorosi volontari-da-canile, animalisti estremi e fondamentalisti vegani: gente che si fregia di una “V” nel nickname e che si dichiara propensa a salvare, da una casa in fiamme, una nutria piuttosto che la zia Carmelina. Dato che la nostra frequentazione si riduce a sporadici contatti tramite social network, soprattutto a scopo ricerca di notizie di Mosca e Canepiccolo, non sono infastidita da loro più di quanto loro lo siano da me: essenzialmente, loro mi considerano una mangiacadaveri egoista e senza cuore, e io li considero degli esaltati che si sono appioppati, bisogna ammetterlo, un compito ingrato, faticoso e scomodo. Tentiamo, quindi, di mantenerci in buoni rapporti, di non pestarci i piedi e di non punzecchiarci a vicenda; in buona sostanza, io fingo di non vedere le foto di gatti scuoiati che inondano le loro bacheche, e loro ignorano la mia insana passione per il McChicken. Fino a ieri, la tecnica dell’indifferenza attiva aveva funzionato: fino a ieri, appunto, quando, sulla bacheca di un gruppo dedicato alla cura degli animali domestici, meglio se feriti, moribondi o almeno molto tristi, che scruto giornalmente in attesa di qualcuno che si proponga per adottare i due quadrupedi ringhiosetti di Ife, è stata postata la notizia che a Palermo (meglio, nel mio rione) si aggira un cinese che accalappia cani e gatti randagi per cibarsene. A parte la manifesta assurdità dell’annuncio, quello che mi ha fatto realmente paura – paura, sì – è la natura dei commenti espressi da un nugolo di persone giovani, in buona salute e non sottoposte a orribili privazioni o a condizioni di vita disagevoli, che si considerano colte, mediamente intelligenti, cristiane e di sinistra; senza preoccuparsi di controllare la veridicità del messaggio (della cui assoluta affidabilità dovevano farsi garanti le parole lo ha detto un’animalista non meglio identificata), non meno di una cinquantina di persone hanno iniziato a inveire contro i cinesi. Da bruciamoli vivi al sempreverde al rogo!, da andiamo a picchiarli con una spranga a impicchiamoli con una calappia e vediamo che dicono, è stata una grandinata di parole che trasudavano odio, rabbia, cieco furore verso degli sconosciuti. Un livore spaventoso, che mi ha portata a temere per l’incolumità della simpatica famigliola cinese che gestisce un negozio di vestiti a due passi dal luogo incriminato. Tra gli incitamenti all’odio razziale (ammazziamo tutti i cinesi, ci rubano il lavoro, rimandiamoli a casa loro), le minacce esplicite (riuniamoci sotto casa di Luigi, ognuno porti un cric) e quelle più velate (attenti che ci bloccano, scriviamo dettagli su luogo e orario in privato), è venuto fuori uno scenario degno di un film sulla notte dei cristalli. Veramente disgustoso, e reso ancor più inquietante dall’identità delle persone che scrivevano: non un gruppo di militanti di Forza nuova o di nostalgici del Reich, ma un branco di ragazzi che votano partiti di pseudo-sinistra, si nutrono di tv e cercano di darsi le ultime materie per la triennale in Scienze storiche; gente che dichiara, come se fosse una frase sensata, che gli animali sono molto meglio delle persone, come se le persone non fossero animali, come se loro non fossero persone. Agghiacciante.

A me gli animali piacciono – quasi tutti, escluso, forse, i blattoidei e le galline. Spesso li mangio: perché è nella mia cultura, perché sono gustosi, forse anche perché sono ipocrita e non mi pongo troppe domande, chissà. Mi piace molto il pollo, e ricordo ancora, leccandomi le dita, una tasca di petto di pollo mangiata a Praga, ripiena di formaggio di capra e pomodori secchi. Quanto agli animali nei libri, come dimenticare Barrabàs, il cane di Clara Del Valle, o Colomba, la gattina di Toru Watanabe?

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