Ci sono santi che godono di particolare venerazione. In Sicilia, di solito si tratta di tenere fanciulle martirizzate in maniere oscene, crudeli, mostruose. La santuzza fa eccezione. Santa Rosalia, patrona di Palermo dal 1624, inventata, nel vero senso del termine, per portare beneficio durante una pestilenza, aveva dalla sua solo l’eremitaggio su Monte Pellegrino, meta amena e bucolica: se la cavò con poco, ammettiamolo. Anche la sua iconografia è poco cruenta: niente occhi nel piattino, o fuoco nella ciotola, o macina al collo, niente seni mozzati e tenaglie, solo un teschio ai piedi e fresche rose rosa; una santa positiva, graziosa, di buona famiglia, vergine come si conviene a una creatura superiore, dall’espressione di serena, stupita beatitudine. Magari un po’ sciocca, via. Una giovinetta di tali preclare virtù da meritare due feste: ‘u fistinu, la festa più laica, quella dello sbraco, dei fuochi d’artificio e del fercolo portato in processione per le vie della città, il 14 luglio, e l’acchianata, la salita a piedi al santuario che custodisce (?) le reliquie della santa, il 4 settembre, quando si implorano i miracoli e si salda il debito delle grazie ricevute: santa Rosalia ha un tocco magico con chi non può avere bambini.
Non mi perdo un festino da diversi anni, ormai; non sono cattolica né devota della santuzza (le due cose non sono collegate, la comunità indu venuta da Sri Lanka a Palermo la considera parte integrante del proprio pantheon), ma adoro la processione, il carro con la statua della santa, e poi correre per le stradine laterali e tagliare da Ballarò per arrivare in tempo ai Quattro Canti e sentire gridare “Viva Palermo e Santa Rosalia!”, frase che un tempo era appannaggio del sindaco ma ora non più – anche le creature celesti hanno le proprie simpatie. Mi piacciono le persone che si sistemano con le sedie pieghevoli sui marciapiedi, gli abbanniatori che vendono bibite fresche e fette di mellone agghiacciato, i picciriddi in braccio e i flash che scattano, le anziane che portano i fiori da lanciare alla santuzza, e poi assistere ai fuochi d’artificio da piazza Magione, in modo da vederli senza assordarsi, e guardarsi con gli sconosciuti e dire che anche quest’anno ‘u fistinu beddu fu, signora mia, e sorridere con aria compiaciuta. Neanche se la avessimo inventata noi, ‘sta santa picciotta.
Il piatto tipico del festino sono i babbaluci, lumachine che si comprano al mercato o si raccolgono in campagna, e si portano via in un cesto con i bordi cosparsi di sale. Devono essere accuratamente lavate, fatte bollire e poi cotte in una padella con abbondante aglio e prezzemolo, salate e pepate. Un piattino di babbaluci, un coppo di calia e semenza – ceci e semi di zucca abbrustoliti – una fetta di anguria gelata non mancano mai, il 14 luglio.
Chi ha una barca e la prontezza di spirito di utilizzarla, può godere dei fuochi d’artificio dal mare del golfo di Palermo: è così che va, ad esempio, in I delitti di via Medina-Sidonia, di Santo Piazzese: un romanzo che ho già consigliato e che continuo a segnalare, nell’attesa che l’autore si decida a regalarci il quarto.
Foto di Stefania Cimino
mi sembra meglio delle manifestazioni francesi nella stessa data.
sarà dura che venga a vedere la sicilia in luglio, mi accontenterò delle vostre foto.
la voglia di vedere la sicilia resta, ma con una temperatura più favorevole al nostro fisico.
ma i babbaluci… quasi come l’ agrodolce. preferisco l’ anguria.
baci.
lamate.
neanche io li mangio, i babbaluci. meglio calia e semenza, da sgranocchiare lungo il tragitto. ma almeno sono senza aceto…
Santo Piazzese!!! Me la ricordo la “scena” in cui se ne partono in barca per vedere i fuochi *______* adoro!!!
Sui babbaluci la penso come Mate, solo mio papà ne mangerebbe quintali… io mi associo all’autrice nel preferire calia e simìanza
Viva Palermo e Santa Rosalia!!!
E ce l’hai pure autografato, il libro di piazzese… anche se forse era il secondo O_o
da noi la simìanza si chiama mioline. un nome dolce per una goduria salata. i ceci abbrustoliti me li ha proibiti il dentista…
cercherò santo piazzese, ma prima devo finire quello che ho. quanti scrittori che ancora non conosco. ma ancora grazie per citarli, la lista si allunga.
di nulla!
Quest’anno non sono andata, ma in genere non me lo perdo. Quand’ero piccolina, facevano solo la processione del 15 e a setttembre ” l’acchianata a piedi”a Monte Pellegrino. Il 15 prima della processione, vendevano palloncini per i bambini, ventagli di carta, e bastoncini con intrecciati i gelsomini, oltre le solite leccornie come il gelato di campagna. Questo articolo così fresco, rende bene l’idea della festa “laica” a cui la maggior parte dei palermitani è legata
sì, giorno 15 c’è la processione religiosa, quella più legata alla devozione. ma quanto è buono, il gelato di campagna!
maria, un bacio in fronte, come facevano le vecchie zie, per questa cronaca…quanto sei brava!
se un giorno verrò, mangerò anch’io babbaluci e semenze, e tutto quello che c’é. canterò e mi complimenterò per ‘u fistinu.
scrivi maria, scrivi!
intasco il bacio, sorrido. adoro i baci in fronte, e le zie. un sorriso per te