“Ogni uomo che sia nato nel Mediterraneo deve avere un’isola, uno scoglio piantato da qualche parte, che faccia da simbolo, da pensiero” e per Renato, protagonista del romanzo “Uomini senza vento”(Garzanti) di Simone Perotti ,la sua isola è Ponza. La raggiunge “periodicamente come fosse una medicina” e fugge da Milano. A Portoferraio c’è il Makaia un first 36.7 “disegnato dal grande Bruce Farr, barca nata per correre”. Il mare ti cambia, ti rilassa, ognuno di noi ha la sua metà d’esistenza sconosciuta e Renato la scopre “quel giorno, era in mare, nel buio”. Un incontro-scontro di notte, sul mare, con una goletta che punta dritto sulla sua barca fa diventare “Uomini senza vento” un noir mediterraneo e fortemente ambientalista che profuma di mare e scorre veloce come una barca con le vele gonfie di vento.(Foto di ANDREA RULLO)
Perotti, ex manager, scrittore, affittabarche, skipper e istruttore di vela è uno dei naviganti di “7 mosse per l’Italia”(www.7mosse.it)
Simone, cosa provi quando sei in barca?
“Una barca (spinta giù dal vento e tenuta su da un peso che sta sotto la chiglia) è una grande metafora dell’equilibrio. Un marinaio a bordo di una barca a vela cerca costantemente quell’equilibrio, osando talvolta, conservando talvolta, fermandosi, ripartendo, facendo dunque scelte intellettuali che costituiscono la sua unica vera grande risorsa per fronteggiare fenomeni che, altrimenti, lo spazzerebbero via in un soffio. Un uomo in mare sa che non può opporsi con la forza. Navigare è un‘operazione intellettuale, che fa uso anche della forza fisica, ma in minima parte rispetto alle doti di resistenza morale, interpretazione dei dati, scelte intellettuali. Quando navigo e sono al comando di una barca io vivo dentro questa ricerca e questo dissidio, e ogni volta che riesco nel mio intento provo una grande sensazione di appagamento. E poi in mare non ci sono sentieri, strade, ponti. Un uomo libero ha bisogno di uno spazio ampio dove muoversi. Tra i vincoli e le strettoie muore”.