Velina o calciatore, altro che scrittore! di Gordiano Lupi

“Velina o calciatore, altro che scrittore!” di Gordiano Lupi (Historica Edizioni, 2010) è una disamina sul mondo editoriale italiano, un’analisi dei meccanismi bel oliati da una legge di mercato spesso senza scrupoli. Se è vero che “fare lo scrittore e l’editore in un paese come questo ci vuole fantasia”, l’autore può parlare con cognizione di causa nella duplice veste, appunto, di scrittore e direttore delle Edizioni Il Foglio, una di quelle piccole realtà editoriali che sopravvive come un Davide tra i tanti Golia: «E allora apriamo ipermercati del libro a più non posso per vendere best-seller e noi piccoli rifugiamoci nelle riserve indiane, su internet, nelle fiere della microeditoria. Tanto siamo una razza in estinzione. Non dureremo molto…».
Con uno stile scorrevole intriso di ironia, piacevolmente ravvivato da qualche contaminazione del parlato toscano e da interessanti incursioni nella sua storia professionale, questo autore di Piombino si scaglia contro alcune logiche consumistiche, tra le quali, per esempio, il fenomeno dei libri-panettone. E lo fa elargendo però anche buoni consigli: «E allora per Natale astenetevi dagli scrittori panettone e compratevi un libro targato Adelphi o Guanda, ché magari cascate bene. Cercatevi un classico. Comprate un libro edito da un piccolo editore sconosciuto che ancora cerca la qualità».
Lupi non risparmia nomi di scrittori, case editrici, riviste letterarie, addetti ai lavori. Attenzione: questo approfondimento non è stigmatizzato solo in negativo: accanto alle crepe del sistema-editoria, vengono anche individuati libri validi, direttori di collana che osano e non si piegano alle mode, riviste letterarie interessanti e scrittori onesti. Ma, di fianco a questi ultimi, nuovo esempio, l’altra faccia della medaglia, incarnata in questo caso dagli scrittori che non si dovrebbero pubblicare:
«Basta parlare di grandi editori e di personaggi televisivi travestiti da scrittori, ché i mali dell’Italia letteraria mica sono soltanto questi. No davvero. Ci sono i presunti scrittori, grafomani che credono al valore terapeutico della letteratura e vorrebbero ammorbarci con le loro cazzate. Ve li raccomando. Autori che meritano editori a pagamento, ché se uno deve pubblicare una stronzata è giusto che ci guadagni dei soldi, se no cosa la pubblica a fare. Autori che cerco di evitare come la peste, ma si sa che le malattie infettive ti contagiano pure se non vuoi e di tanto in tanto si fa vivo qualche esaltato per posta elettronica. Scrittori di provincia che si credono nuovi Proust, loro non sono sboccati come me, no davvero, loro scrivono lunghe lamentazioni sul passato, divagano sul senso della vita, si sentono veri poeti, pure se sono poveri dementi. Da non pubblicare, pena lunghissime mail di scrittori insoddisfatti per non aver venduto un milione di copie, di grafomani impazziti che non si spiegano come mai il mondo intero non legga il loro libro. Ecco, questi autori vanno indirizzati a editori a pagamento, nella speranza che li spennino bene, ché certa gente merita soltanto questo.
Un’altra razza di autori, invece, sono le teste di cazzo irriconoscenti, gente che tu piccolo editore di provincia li hai pubblicati, portati al premio Strega, c’hai fatto notte per distribuire il libro e dopo loro pubblicano con Bompiani e ti vanno in culo alla grande. Non ti citano neppure. Ti tolgono i diritti dal libro, lo ripubblicano e tu non esisti, non sei mai esistito nella loro vita, ché rappresenti una macchia troppo grande. Magari dopo sono pure così ipocriti da mandarti il libro edito da Bompiani con dedica, ma parlare di te, dire che li hai scoperti, no, troppo disagio. E allora capita che prendi il loro libro edito da Bompiani e dopo aver cacato alla grande ti ci pulisci il culo, pagina dopo pagina, ché la carta di Bompiani è uso mano, fanno trentamila copie, c’hanno i reimanders che smerciano l’invendibile. Ce ne saranno ancora di scrittori così, teste di cazzo assolute, che voi editori microscopici di provincia non dovete pubblicare».
Certo, si può leggere questo libro scorrevole e non trovarsi d’accordo su tutti i punti – come è accaduto alla sottoscritta. Ma si deve ammettere l’onestà dell’autore, e il suo voler esaminare, capire, criticare (nel senso alto del termine) non è – checché lui ne dica – indice di rassegnazione. Perché sembra invece che, sotto sotto, in un recesso lontano del suo cuore, Gordiano Lupi ci creda ancora a un mondo (editoriale, ma non solo) migliore.

di Marilù Oliva

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La bambina delle rune

“Dicono che, se ti svegli di colpo rabbrividendo, la morte  ti sia passata accanto. Io mi destai con un brivido il giorno del solstizio d’estate. E, sebbene non potessi in alcun modo prevedere il male che si sarebbe abbattuto su di noi, fu come se ne avessi avvertito il gelo…”

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Morto due volte

Sembra davvero morto due volte, come recita il titolo, il signor Antonio Samsa. Il commissario Bordelli, durante una delle sue passeggiate tra i cimiteri, scopre una tomba con un nome già visto in un’altra lapide: stesso estinto, stessa data di nascita, diversa data di decesso. Il commissario Bordelli continua a pensare al mistero, si decide a cominciare un’indagine che lo porta ai parenti stretti del defunto Samsa, e non solo a loro. Attraverso le testimonianze e il fiuto del protagonista, si sgroviglierà alla fine l’arcano e lo scioglimento reggerà su uno degli elementi basici che muovono e distruggono i destini umani: gli interessi personali oltre la dignità umana.

“Morto due volte” (Guanda) è una graphic novel eccellente realizzata a quattro mani. Le tavole sono di Werther Dell’Edera, barese classe 1975, impostosi in Italia disegnando storie come John Doe e Garrett: Ucciderò ancora Billy The Kid e collaborando con alcune delle principali case editrici di fumetti americane, come Marvel e DC Comics. I disegni – tutti in bianco e nero – sono agili e dinamici ma Dell’Edera è maestro nel cogliere una situazione, un dettaglio, uno stato d’animo e, pur concentrandosi sulla figura umana in tutte le sue angolazioni, non disdegna gli ambienti e gli scorci di paesaggio. La corposità è data dalle ombre distribuite senza sfumature, con un tocco a volte quasi pennellistico.

I testi sono di Marco Vichi, fiorentino classe 1957, autore di racconti, testi teatrali e romanzi, tra cui quelli della fortunata serie del commissario Bordelli qui proposto. Tra i suoi romanzi dedicati a Bordelli cito “Morte a Firenze” (sempre edito da Guanda), che in questo 2010 ha stravinto in diverse tenzoni letterarie classificandosi al primo posto al premio Camaiore Letteratura Gialla e al Premio Azzeccagarbugli.

La sceneggiatura di Vichi non fa acqua: sintetica, precisa, l’autore ha condensato nelle didascalie eterodiegetiche e nei dialoghi le pagine intense dei suoi romanzi. E poi c’è il periplo nella storia, quella grande, quella novecentesca con la S maiuscola, una storia che Vichi ha già dimostrato di saper trasmettere narrativamente, con risultati grandiosi. Qui esplode in tutto il suo dramma, dalle persecuzioni fasciste agli ebrei, fino alla tragedia dei lager nazisti e fino alla questione della banalità del male sottintesa tra le righe e tra gli eventi. Ma la Storia è solo il frammento che si riverbera in un’opera ambientata anni dopo, dove l’attenzione è tutta concentrata sulla vicenda umana, ricostruita, passo dopo passo, dall’indefesso Bordelli, certo delle sue debolezze ma anche del suo codice morale. Sempre pronto a constatare le sue amarezze, perché grande conoscitore dei suoi simili:

«E alla fine gli italiani avrebbero comunque dimenticato. Come sempre.»

Pag.112

Euro 17

Guanda Editore

Isbn: 9788860887801

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Itinerari noir

Partiamo dalla rassegna romana di cui Alessandra Buccheri ci ha già parlato (http://www.thrillermagazine.it/notizie/10282/). Immaginiamo che un evento come questo implichi un impegno notevole: qual è la spinta?
La spinta è data dalla passione, la stessa passione per cui rimango sveglio la notte a preparare i topic per il sito dei corpi freddi, la stessa passione che divido con un gruppo amici fraterni quali quelli della redazione, la stessa passione che ti fa dimenticare la fatica postuma ad un ciclo di presentazioni di due mesi. Insomma la passione è al centro di tutto ciò che faccio e che ho fatto nella mia vita. Mia moglie mi rimprovera sempre che quando mi fisso per una cosa, la riduco sempre ad una passione morbosa. La letteratura è una delle poche passioni “legali” che mi permette di scoprirmi, ma durante l’ adolescenza ed anche in età matura, diciamo che le mie passioni hanno sempre comportato una sorta di doppia vita. Di giorno lavoratore e la sera mi trasformavo in tremendo appassionato di… meglio non svelare troppe cose è troppo rischioso :D

Cosa c’è di importante in una presentazione, nel rapporto diretto autore/pubblico?
Parlo dapprima delle presentazioni a cui assisto da spettatore… Adoro conoscere chi c’è dietro ai libri, adoro sentire le risposte a domande sceme tipo “che libro stai leggendo adesso” o “che ne pensi di…”. Questo fa parte un pò della cultura italica, ovvero il cercare di entrare nell’ intimità di una persona estranea per cercare di carpirne i cazzvoli suoi. Siamo molto voyeuristici in tutto questo. Poi c’è il lato “professionale” ovvero il cercar di capire come un libro, nasce e cresce nella mente del proprio autore. In entrambi i casi la curiosità è alla base. E’ anche vero che molte presentazioni oramai sono un pò troppo accademiche mentre vi assicuro che in questo ciclo ci sarà davvero di cui divertirsi. Con Alessandra Buccheri faremo un pò il poliziotto buono e il poliziotto cattivo con domande stronze al punto giusto e intermezzi che… vabbè chi verrà vedrà :P

Ti emozioni come realtore?
Mi emoziono? Se vuoi ti racconto quel che faccio mezz’ora prima che il tutto inizi. Mi metto in disparte da tutto. Non voglio sentir parlare nessuno vicino a me, tremo come uno scemo e fumo tantissimo (mi raccomando non fumate che fa male! rischiate di diventare come me!!). Riesco a sciogliermi solo in corso d’ opera, i primi 2 minuti sono sempre molto imbarazzanti ma riesco a venirne fuori solo facendolo spiritoso. Storica oramai la presentazione di Carrino dove sia io che la Buccheri, ci siamo messi a singhiozzare dopo aver letto un brano di Pozzoromolo :D

Tu sei il direttore del blog corpifreddi, sei un grande lettore e un affezionato di anobi. Hai cioè una discreta esperienza sui libri. In che direzione va oggi la scrittura noir/thriller in Italia?
Oggi si parla e si straparla davvero tanto di che fine farà un genere letterario o se sia giusto continuare a riempire pagine di libri di clichè. Ti dico la verità, spesso nella vita, me ne sono fottuto di domande come queste, ma non perchè non voglia prendere posizioni rispetto l’ argomento, ma solo perchè, per adesso, mi ritengo un lettore e quindi come tale compro una valanga di libri al mese, forse anche troppi e la direzione di un genere letterario, la lascio scegliere a voi scrittori se poi la vostra scelta non sarà da me condivisa, non vi leggerò più e leggerò altro. Quindi secondo me dovreste farvi meno pippe mentali ed ognuno di voi dovrebbe cercar di scrivere di emozioni e cercando in ogni modo di essere più appetibile possibile al lettore altrimenti la gente fa presto a scordarsi di voi e voi tornerete a fare il lavoro noioso di un tempo.

Dicci qualcosa di te che ancora non sappiamo
Ho fatto da poco la prova dell’ intolleranza alimentare e mi hanno vietato per due mesi: carne suina e derivati, nutella, zucchero, caffè, coca cola e alcool (!!!!). Mi nutro di mattonelle e sughero in questo periodo. Tornando un minimo seri invece, vorrei usare il mezzo per un messaggio alla mia fantastica moglie: “Ti amo da morire e ho una voglia fottuta di avere un bambino”

Riportaci tre citazioni da tre libri che ti sono piaciuti
“In ogni delitto si produce uno scambio…… tra criminale e vittima, o tra criminale e luogo del delitto. Può essere estremamente difficile da trovare, ma quel legame esiste.” Il filo che brucia – Jeffery Deaver

“Uccidere non è cristiano…” “Giustiziare sì però. Hai mai letto San Tommaso D’Aquino? Lui aveva inserito la vendetta tra le virtù. invece che tra i peccati” “E lo hanno fatto Santo?” “Certo. Per San Tommaso la vendetta è la naturale reazione dell’ uomo di fronte al Male, perché l’ uomo ha insito in sé l’ istinto alla correzione e alla punizione a fin di bene…” Mano Nera – Alberto Custerlina

“Se non mangio tutto poi arrivano i Cariolanti..” I Cariolanti – Sacha Naspini

Salutaci con un invito alla rassegna
Chi verrà, potrà dire “io c’ero!”

Salutaci da Corpofreddo
Polvere siete e polvere tornerete, ma mentre aspettate, leggete!

E per concludere…

Questo il calendario del ciclo di incontri letterari all’insegna del giallo, del nero, del mistero e del thriller. Si terranno a  partire dal 9 Ottobre 2010 presso la Libreria Rinascita Ostiense (via Prospero Alpino, 48 — Roma), ogni sabato dalle 18.30 alle 20.00:

09 OttobreMarilù Oliva presenta ¡Tú la pagarás! (Elliot Ed. 2010)

16 OttobreTecla Dozio presenta Eugenio Tornaghi con Il debito dell’ingegnere e dibattito sull’ Editoria Italiana (Todaro Edizioni)

23 OttobreMaurizio de Giovanni presenta Il giorno dei morti (Fandango 2010)

30 OttobreLuigi Bernardi e Antonio Paolacci presentano Fuoco sui miei passi e Accelerazione di gravità + Dibattito Letterario (Senza Patria Edizioni)

06 NovembreCristina Zagaria presenta Malanova (Sperling & Kupfer 2010)

13 NovembreEnrico Pandiani presenta Troppo Piombo (Instar Libri 2010)

20 NovembreAlberto Custerlina presenta Mano Nera (Baldini Castoldi Dalai 2010)

27 NovembreElisabetta Bucciarelli presenta Ti voglio credere (Kowalski Ed. 2010)

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La scuola è di tutti. Ripensarla, costruirla, difenderla.

“La scuola è di tutti. Ripensarla, costruirla, difenderla” (minimum fax, 2010): finalmente un bel libro che racconta come stanno davvero le cose nella scuola italiana. Un libro onesto, serio, scientifico, corredato di tabelle, dati, statistiche, fonti, che rivendica fin dal titolo un aspetto fondamentale della scuola, quello democratico. Aspetto che pare, ad oggi, minato ab imo.

Girolamo De Michele, insegnante, esperto di filosofia e pedagogia, affronta i pregiudizi sulla scuola, ne chiarisce le origini e gli intenti di chi li diffonde, li smantella con rigore di logica e buon senso ma soprattutto con un ricco apparato documentativo. Con inappuntabile metodo scientifico fa venire al pettine nodi reali ma ne scioglie di fittizi, soffia via dagli occhi il fumo che un sistema conservatore continua a rigettarci addosso. I temi affrontati concorrono a dare un quadro di completezza perché toccano tutti i risvolti del complesso-scuola, anche quelli apparentemente minoritari come l’insegnamento di religione:

«E diventa scandalo, in una scuola non fascista o antifascista, introdurre un contenuto dogmatico: perché la scuola non deve inculcare valori, ma favorire la crescita consapevole e autonoma di strumenti cognitivi che consentano a ogni libera mente di tracciare la propria scala di valori e credenze, all’interno di un quadro di norme generali che coincide con la Costituzione. Pretendere di insegnare un valore presentandolo come il valore, una religione pretendendo che sia la religione, è, nel senso evangelico del termine, scandalo. Ed è uno scandalo potenzialmente fascista. Così come sono potenzialmente fasciste le parole del ministro che ha affermato [in occasione dell’apertura dell’anno scolastico 2009/10, Roma, 25 settembre 2009]: «Perché avvenga l’integrazione [degli stranieri] è indispensabile insegnare la nostra lingua, la nostra cultura, la nostra religione e la nostra storia»: perché è dalla caduta del fascismo che l’Italia non ha una religione di Stato».

Dalla questione del sovrannumero di insegnanti e bidelli (inculcato e diffuso demagogicamente dal governo e da molti dei mezzi di comunicazione mediatica), a quella del bullismo, della (finta) emergenza scuola e dei programmi inadeguati, dallo scandalo delle SSIS a quello dei finanziamenti alle scuole private:

«La Regione Lombardia, governata da 15 anni da Roberto Formigoni, assegna alle scuole private, nelle quali studia il 9% della popolazione studentesca lombarda, l’80% dei fondi regionali per il diritto allo studio, cioè circa 50 milioni di euro all’anno, ricorrendo, come denuncia il Rapporto sul buono scuola 2009, a un vero e proprio trucco contabile».

La volontà di fare a pezzi la scuola pubblica è un passo importante di un più vasto progetto che risponde a un preciso piano di controllo sulla libertà e sull’autonomia di pensiero: l’ignoranza rende le persone più malleabili. Come procede questa demolizione? Attraverso un linguaggio impreciso, infido, attraverso manovre scorrette e nocive, spesso contrarie ai dettami costituzionali, attraverso dati opportunamente mutilati e appoggiati da giornalisti mentitori o allocchi.

“La scuola è di tutti. Ripensarla, costruirla, difenderla” si può definire un’analisi critica alla situazione odierna del sistema scolastico. Contro i luoghi comuni, contro le ovvietà. Gli intenti, credo, sono diversi, ma per raggiungerli De Michele punta innanzitutto sulla consapevolezza. Ripensare la scuola tale quale essa è. Costruirla e difenderla dai continui attacchi, tenendo ben presente che la sua funzione all’interno della nostra società non può prescindere dall’essenza democratica: la scuola ci appartiene, anche se non  siamo più studenti, anche se non siamo insegnanti. Perché è da lì che arriveranno i futuri cittadini.

Un’opera importante e preziosa per tutti. Indispensabile per i tanti che, come la sottoscritta, hanno studiato – in preparazione agli esami di pedagogia e didattica della SSIS – libri obsoleti, inadeguati, sovente poco chiari. Libri – guarda caso – spesso scritti dagli stessi professori che li propinavano, e divenuti testi di studio non perché fossero realmente utili, ma solo per aumentarne le vendite.

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XXX di Eliselle

Partiamo dal lato esteriore: il libro si presenta graficamente delizioso, con una predominanza in chiaro (scritto, oltre a qualche decorazione a destra) e nero (sottofondo) a forte connotazione sensuale (in richiamo fin dalla scarpa in copertina, zeppa e tacco infinito). Formato speciale per un esperimento speciale, felicissima la scelta di corredare il romanzo breve (o racconto lungo?) di svariate foto in posa dell’autrice, rigorosamente a tema. Perché il tema è l’attrazione – e qui tocchiamo la polpa dell’opera – il desiderio, l’ossessione, il richiamo della notte in tutte le sue prerogative, nonostante il romanzo sia scandito in preludi e frazioni di giornata che includono anche il giorno e la luce. Ma qui sono le ombre a giocarsela. Quelle dell’animo.

Una prova intrigante e stuzzicante dalla piacevole lettura, la sorpresa è assicurata insieme alle atmosfere soft in penombra. L’andamento morbido nonostante un fraseggiare paratattico conferisce all’insieme un ritmo delicato ma continuo. E visto che il mistero scorre in sottofondo, non racconterò troppo. Ma andiamo a sentire cosa ci svela la scrittrice, Eliselle, modenese, classe 1978, le cui notizie potrete trovare qui:

www.eliselle.com

Qual è il plot dell’opera “XXX”?

Una protagonista senza nome, un assassinio, personaggi ambigui che si muovono in una storia feroce e senza filtri. Una ragazza bella, con un passato da cui riaffiorano mano a mano ricordi inquietanti, si ritrova a lavorare in un night per sopravvivere, e ne diventa la stella. Attorno a lei, uomini e donne che la desiderano, che la usano, che si innamorano, che ne fanno la propria ossessione. Un romanzo che scava nei meandri oscuri dell’anima.

Puoi inserire 1 citazione significativa di 6-7 righe?

“La gente s’inganna sempre, quando mi incontra e mi stringe la mano per la prima volta, perché ama ingannare se stessa. Lo adora. Diciamocelo, è la cosa che sa fare meglio. Questo viso così pulito, questo corpo così minuto e perfetto. “Quanto sei bella”, dicono, omettendo e censurando il resto, e io vorrei ridere e sputargli in faccia tutto il mio disprezzo ma non lo faccio. Ci guadagno di più se rilancio la posta con uno dei miei sorrisi, uno di quelli adatti alle grandi occasioni, uno di quelli che fanno perdere la ragione, e li lascio credere quello che vogliono.
Anche io ho un affitto da pagare.”

Qual è stata la molla?

L’ho scritto in un periodo molto nero del mio recente passato. È stato il mio stato d’animo la molla necessaria a scrivere la storia. La spinta per trovare le parole giuste e creare l’atmosfera necessaria per raccontare una storia così torbida l’ho trovata dentro di me.

Come hai architettato la struttura?

È venuta naturalmente, in corso d’opera. Volevo svelare il passato della protagonista e le trame attorno a lei piano piano, con una certa progressione, per incuriosire e spiazzare il lettore. Così il libro si apre con un’ultima notte, in cui si svolge un fatto di sangue, e tanti flashback in cui racconto il passato dei personaggi, mano a mano che si svela cosa accade dopo. In questo modo non si riesce a capire fino alla fine che cosa è successo.

Perché questa divisione?

Perché la suspence è sempre al limite, ed era la struttura ideale per il tipo di storia che volevo raccontare.

Come hai ideato i personaggi?

Come sempre, pescando a piene mani dal reale, e shakerando poi con la mia fantasia.

Prendine uno e analizzalo

La violenza, la passione, l’amore deviato, l’incapacità di uscire dagli schemi e dai traumi che la vita impone, la difficoltà di vivere e di sopravvivere, l’impossibilità di amare ed essere amati, l’avversione per i sentimenti visti come debolezza, l’attaccamento ai beni materiali come unica via d’uscita al vuoto esistenziale: tutto questo è incarnato nella figura della protagonista, che non ha nome.

Quali sono i requisiti che pretendi dalla tua scrittura?

Deve essere spontanea, autentica, e trasmettere emozioni.

Quali sono i maestri di stile?

Troppi da citare. Leggo di tutto, e proprio da questo traggo piacere e ispirazione.

Un sottotitolo

Un sottotitolo per “XXX” potrebbe essere Senza nome. Perché nessuno dei protagonisti ne ha uno. Potrebbero essere chiunque.

DATI

Titolo: XXX

Autore: Eliselle

Foto: Patrizia Cogliati – Musicphoto

Editore: Blurb.com

Qui in preview: www.blurb.com/books/1581250

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Carte d’Avana di Davide Barilli

“Carte d’Avana” di Davide Barilli nasce con l’intento  di  mostrare aspetti poco conosciuti di Cuba.  Il libro -  composto da sue impressioni di viaggio e dagli acquerelli cubani di un pittore, Gerardo Lunatici -  è edito da Fedelo’s, una piccola e raffinata casa editrice, con cui l’autore pubblica, nella collana Riflessi,  brevi testi corredati da immagini di pittori stimati.


Da cosa nasce il tuo libro “Carte d’Avana”, uscito da pochi mesi in Italia e tra poco tradotto a Cuba?

Il fascino di Cuba sta nella sua gente, almeno quella che ho conosciuto io nel corso dei miei numerosi soggiorni nell’Isla: un popolo fiero e disperato, di grande umanità e desideroso di raccontare il suo Paese e i suoi enormi disagi oltre le apparenze. Spesso ne viene data un’immagine sbagliata: o troppo edulcorata dall’aspetto letterario o, al contrario, contaminata da un taglio giornalistico di tipo militante, ovvero ideologico.  Il libro nasce come una scheggia del mio ultimo romanzo “Le cere di Baracoa”. E’ una raccolta degli appunti che ho accumulato sui miei taccuini durante gli ultimi viaggi a Cuba, in particolare nella capitale; appunti fatti di incontri, sensazioni, paesaggi, abbozzi di storie. E’ un piccolo libro, composto da solo 48 pagine, edito da un nuovo editore coraggioso, ma devo dire che l’accoglienza della critica mi ha stupito; buon ultimo ne ha ampiamente parlato Alberto Bevilacqua sul Corriere della sera.

Il libro, composto da tue impressioni di viaggio accompagnate dagli acquerelli cubani di un pittore, Gerardo Lunatici,  è edito da Fedelo’s, una piccola e raffinata casa editrice sostenitrice di sinergie letterarie tra la letteratura e la pittura. Ci racconti un’impressione di viaggio?

Sono tantissime, troppe. Raccontandone una  svilirei tutte le altre che ho vissuto…..e poi, è tutto dentro  il mio libro…!. A parte gli scherzi, a Cuba ogni giornata viene sconvolta  da un inconveniente, una trappola,  un sogno. Ho subito fermi di polizia,  ho mangiato la miglior torta di cioccolato della mia vita, ho visto occhi indimenticabili, ho salvato vite e ne ho  attraversato  tantissime.  Mi sono portato a casa pagine di appunti, una stupenda sedia a dondolo in legno di cedro da cui non mi separerò mai… e  pochissimi souvenir : niente magliette con il Che, niente sigari, niente bottiglie di liquori (a parte qualche petaca da tasca contenente  rom a granel….rum fatto in casa….).  Ma la sensazione dominante è quella di essere  sull’orlo di un precipizio, si ha la sensazione che qualcosa stia per concludersi, per crollare, e di essere lì come uno degli ultimi testimoni…ed è una sensazione  impagabile, te lo assicuro!

Il tuo amore per l’America Latina si evince anche da “Le cere di Baracoa” (Mursia), che si gioca la vittoria al Premio Città di Fabriano, proprio – per una curiosa coincidenza -  il 27 novembre, giorno del tuo compleanno. Augurandoti che questa data ti sia propizia, ti chiedo una citazione significativa di 6-7 righe.

«…E dunque anche di lui  parlerò.  Del bicicletero che mi arpionò nella strada polverosa spazzata dal vento delle grandi eliche,  a qualche decina di metri dall’aeroporto di Holguin. Era il classico rasta senza un peso in tasca. Portava i  capelli arrotolati in un ispido treccione da cavallo; i suoi occhi metallici   dardeggiavano nel tramonto tremolante e  calzava   screpolate ciabatte gialle di gomma che facevano pensare a fragili coccodrillini imbalsamati.

«Que bola, italiano… non tenere paura, Barroso està aquì…», furono le sue prime parole. Avrà avuto più o meno una quarantina d’anni. La puntuta barbetta da capra, leggermente imbiancata, incorniciava il suo volto largo e nero rendendolo simile a un antico idolo primitivo.

Ma a colpirmi era  stata la voce, dolente, un po’ nasale, funerea, come uscisse dalle canne di uno strumento ligneo mal conservato.

Con lentezza da bradipo,  estrasse da una tasca dei jeans un mucchietto di biglietti da visita spiegazzati che, appena liberati dall’elastico,  volarono via nell’aria resa folle dal via vai degli aerei in partenza.

Si  chinò a raccoglierli. Ed anch’io, d’impulso, appoggiai lo zaino e lo aiutai a recuperarli nella polvere….»

Come hai architettato la struttura?

Su due piani, temporali e spaziali. Parte della vicenda si svolge nella pianura padana alla fine della seconda guerra mondiale, ma poi il romanzo si sposta nelle foreste di Panama e successivamente a Cuba, in tempi più recenti

Come realizzi i tuoi personaggi? Li studi, li rubi alla realtà, prendi spunto e poi li reinventi…

Non ricordo più chi lo ha detto, forse nessuno, quindi in tal caso è farina del mio sacco: ogni personaggio è frutto dell’incantesimo che si crea dall’incontro tra il proprio vissuto, l’improbabile, l’immaginario, le secche della grande Storia e la memoria perduta.

Prendine uno e analizzalo

Barroso, il bicicletero, di cui parlo nell’estratto del romanzo poche righe qui sopra….rappresenta una sorta di Virgilio, ma anche di Caronte…Una guida con ben poco di spirituale, che mi ha accompagnato nei miei primi viaggi cubani…Un incontro con la santeria, la cuba africana, che rispecchia mondi complessi, ambigui, in  perenne  bilico tra l’imbroglio, il trucco e la fantasticheria…

Quali sono i requisiti che pretendi dalla tua scrittura?

Fulvio Panzeri ha scritto che nei miei libri il contesto padano diventa  un’occasione, una sorta di repertorio entro il quale scovare radici e umori che ”lo scrittore reinventa attraverso una sorta di enigmatica e visionaria condizione sudamericana”. Come narratore mi interessa molto lavorare sulla memoria. Penso che uno scrittore non possa prescindere dall’arsenale di ricordi, suoi o tramandati, che possiede. E’ una risorsa straordinaria vedere come il passato costantemente si sposta. In apparenza, rispetto al presente o al futuro, il passato è l’unico tempo reale, assodato, concreto, immobile. Ma a ben pensarci  ogni ricordo è sfuggente, è solo  un’insieme di istantanee, spesso sfuocate, che si impongono come archetipi, di volta in volta diversi. In tale ottica, l’esplorazione del tempo si tramuta in una sorta di viaggio in un museo bugiardo. Ci sembra di osservare, ma tra noi e l’oggetto – il ricordo – esiste una specie di barriera, ed è sempre il ricordo a muoversi, mostrando  di volta in volta una faccia diversa.

Com’è l’ambiente culturale/intellettuale italiano? Partecipi ai dibattiti letterari, ti entusiasmano, annoiano, o cos’altro?

Non esiste un unico ambiente. Ci sono autori che devono vivere nel branco, altri che esistono solo se hanno un  protettore, ma ci sono anche i solitari,  gli opportunisti, i ragionieri della letteratura, i festaioli, i mistici, gli agenti di se stessi, i velleitari, i talentuosi, i mediocri….madamina il catalogo è questo…e molto di più…Insomma, un teatrino che va visto a distanza, cercando di non prenderne parte….altrimenti il rischio che si corre  è quello di farsi contagiare…Credo che i dibattiti passino, mentre a restare sono i libri, con le loro pagine (misere o splendenti, sarà il tempo – e non il pubblico – a dirlo).

Salutaci svelandoci un trucco del tuo mestiere di scrittore.

Mi piace scrivere scalzo, appoggiando i piedi su un pavimento di legno…non so se aiuta a scrivere meglio, ma è una sensazione bellissima e le sensazioni bellissime vanno sempre vissute…!

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Veritas di Patrizia Minz

La trama: È un giorno come tanti altri, per il vicequestore Michele Arlia, napoletano trapiantato nella capitale e, soprattutto, decisamente lontano dallo stereotipo del poliziotto giovane e atletico. Come ogni mattina è alla sua scrivania, con la pipa in bocca, spenta purtroppo, la giacca già macchiata nonostante siano solo le dieci e il cigolio della sedia a ricordargli che è ora di perdere almeno uno dei suoi centoquaranta chili, quando arriva quella maledetta telefonata: alla basilica di San Clemente una turista americana ha denunciato la scomparsa del marito durante una visita guidata e il caso ricade sotto la sua giurisdizione. Più seccato all’idea di dover lasciare le comodità dell’ufficio che preoccupato dal caso, in fondo si tratta di ordinaria amministrazione, il vicequestore raggiunge il luogo della sparizione.

Ad attenderlo, un’atroce scoperta: all’interno della nicchia ricavata in una parete giace l’uomo scomparso. Il corpo pare essere stato oggetto di un sadico rituale: evirato, con una ferita profonda sotto la scapola destra, le narici completamente ustionate. Per Arlia sarà il primo di una serie di omicidi eseguiti secondo la stessa procedura.

Solo la sua passione per la storia dell’arte e per l’archeologia lo porterà a capire che i delitti sono legati a un antico culto e che i luoghi in cui vengono lasciati i cadaveri non sono affatto casuali. Lottando contro il tempo e contro un assassino che vuole coinvolgerlo in un gioco perverso, Arlia si troverà solo e capirà di dover trasgredire alle regole per poter vincere la partita e salvarsi la vita.

Collana Narrativa

Serie Thriller

Pagine 280

Data di pubblicazione gennaio 2010

ISBN 978-88-566-0981-3

Euro: 18,00

Il libro si sfoglia piacevolmente, è avvincente, ben scritto e quest’interconnessione tra letteratura, arte antica e mistero crea atmosfere di suspense nonché grande curiosità. Abbiamo chiesto all’autrice di seguirci nell’analisi profonda di questo romanzo riuscitissimo:

Puoi inserire 1 citazione significativa di 6-7 righe?

Guardò fuori dalla finestra senza vedere realmente nulla di ciò che era al di là del vetro. Per l’ennesima volta si chiese se il suo messaggio avesse innescato il meccanismo che “lui” aveva pianificato di innescare. Se le sue intuizioni erano corrette, a quest’ora chi si occupava del caso lo aveva già collegato agli altri due. Le date? Per quello forse era presto. O forse no, riflettendoci meglio. Ma era ancora in tempo per rimescolare le carte. Non avrebbe barato, no. Giusto una sparigliata. Solo per vedere che avversario aveva davanti.

Qual è il plot?

Un serial killer miete vittime a Roma sullo sfondo di un culto mitraico di cui fa propria la ritualità

Quando e come l’hai realizzato?

Tutto è nato in seguito a una visita, nel 2000, nella basilica di san Clemente a Roma, i cui sotterranei ospitano le vestigia di un tempio dedicato a Mithra e da dove si diparte una rete di sotterranei che attraversano il centro di Roma.

Come hai architettato la struttura?

Purtroppo o per fortuna non l’ho architettata. E’ stata la struttura ad architettarsi nella testa, sedimentando giorno dopo giorno.  Potrei dire che è stato l’ambiente a vivere di vita propria, assumendo le sembianze che ha voluto. Provate ad andare a san Clemente e vedrete che i sotterranei sono come una creatura che aspetti solo di essere risvegliata, ma il soffio vitale lo ha già dentro di sé.

Perché questa divisione in capitoli?

Sono molti quelli che sostengono che “Veritas” contenga anche una sceneggiatura. In effetti ogni capitolo è una scena a sé stante che occupa un intero capitolo. Evito di dare a ogni capitolo due scene diverse, proprio per rispettare una sorta di ritmo filmico.

Come hai ideato i personaggi?

Penso che ogni persona che scriva libri si ispiri a persone realmente esistenti, anche per conferire più credibilità ai propri personaggi, per ricavare da ognuno spunti credibili. Nel mio caso, per quanto riguarda il vice questore Arlia, mi sono ispirata a un mio amico, che ovviamente non fa lo stesso mestiere ma poco ci manca. Ma c’è da dire che Arlia è una sorta di dolce: un fondo di pan di Spagna “requisito” all’amico e la “decorazione” che appartiene a me. Per questo le manifestazioni di apprezzamento e simpatia per Arlia le intendo rivolte a me. E questo mi dà un piacere indescrivibile.

Prendine uno e analizzalo

Ok. Ovviamente Arlia. Se è vero, come diceva Oscar Wilde, che ogni uomo è interpretabile partendo dalle sue trasgressioni, qui c’è da scegliere. Arlia prima di tutto è un napoletano e, dall’incredibile popolo dei partenopei, ha preso l’ironia, l’istinto, l’incazzatura facile ma anche la sdrammatizzazione, la cultura, l’essere scaltro, l’esporsi a soluzioni eterodosse, il mettersi in gioco per il gusto di farlo. In più è trasgressivo per il gusto di farlo: basti pensare al suo tenere in non cale le prescrizioni del suo medico, che gli ordina di far scendere il peso e i suoi valori del sangue. Tutto la sottoscritta (tranne il peso)

Quali sono i requisiti che pretendi dalla tua scrittura?

Piuttosto quello che pretendo non ci sia: la noia. Nessuna lunga descrizione di ambienti, se non quando è necessario. Nessun tratteggiamento di personaggi superflui. Forse l’unica cosa che pretendo dalla mia scrittura è quella di divertire e interessare me prima degli altri.

Quali sono i maestri di stile?

Bella domanda. Recentemente un giornalista mi ha paragonato a Mary Higgins Clark. Magari. Un altro ha cercato un paragone con Dan Brown. Per carità. Direi che quelli che hanno lasciato un segno sono stati Preston e Child. Adoro i loro libri.

La frase che ti piace di più (o una di quelle che ti piacciono di più)

L’ambiente sembrava sospeso nel tempo, come se avesse una vita propria, indipendente da tutto quanto si agitava sulla superficie, scandita da ritmi completamente diversi, lenti, diluiti, quasi esasperati. Arlia ebbe l’impressione di trovarsi all’interno di un grande polmone d’acciaio sotterraneo e di poterne quasi sentire il respiro basso, roco.

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memorias del mañana

Fabrizio Lorusso è nato a Milano 33 anni fa e vive da quasi 9 anni a Città del Messico dove si dedica a diverse attività ludiche e culturali tra cui un dottorato in Studi sull’America Latina, l’insegnamento dell’italiano, la traduzione di testi e l’interpretariato, i viaggi di ricerca e d’esplorazione oltre a collaborare con alcuni media e web-zine come Carmilla On Line, Carta, Latino America, Peacereporter, Globalproject, Rebelion, Kaos en la Red, Revista Isla Negra, Radio Popolare e L’Unità. I suoi temi d’interesse prediletto sono il culto alla Santissima Muerte, la poesia in tutte le salse, la politica, la storia e l’economia dei paesi latino americani, i movimenti e i fenomeni sociali (specialmente) in Messico, il (sotto o sovra)sviluppo economico.

Cura un blog personale chiamato L’AmericaLatina.Net (dove potete leggere le sue poesie: http://lamericalatina.net/

Il blog è fonte d’ispirazione e consigli, ma anche inquietudini, per numerosi italiani in partenza per la gran urbe, Mexico City, (anche fosse solo col pensiero) o per gli altri territori centro e sudamericani. Ha presentato il prestigioso premio internazionale di poesia Nosside edizione 2008, (premio spesso assegnato a un poeta del paese in cui l’organizzatore ama di più viaggiare in quel momento) e ha pubblicato in Messico nel 2009 la sua prima raccolta di poesie in spagnolo chiamata Memorias del Mañana (Memorie del domani) con la Editorial Quinto Sol. Dal 2008 una mostra di fotografie di Edoardo Mora e poesie di Fabrizio chiamata “Altri occhi e parole per Roma e Venezia” sta circolando per il Messico in collaborazione con l’Istituto Italiano di Cultura. Perde pezzi e didascalie ad ogni viaggio ma tutte le poesie si trovano sul suo blog! Con un prologo di Valerio Evangelisti, “Los latidos del mar y del corazón…”, e una conclusione dell’autore, i cinquantasette componimenti di “Memorias del mañana“, nascono molto prima del 2009 (anno di pubblicazione per Ediciones Quinto Sol). La loro origine, anche solo a livello embrionale, è da far risalire a una lettera che Lorusso scrisse al liceo (“Lettera al futuro” ) e alla risposta che lui stesso si diede (“Risposta al passato”). Un dialogo immaginario tra quello che è stato e quello che è ora, tra vite parallele ma mutate nel tempo. Ci sono diversi elementi che rendono prezioso questo gioiello letterario di 76 pagine. In primis la peculiarità della lingua, ovvero l’utilizzo dell’idioma spagnolo come lingua eletta (cfr bio di cui sopra). Al lettore finale questa lingua – per via della sua dolcezza, della sua musicalità, della chiusura evanescente di alcune parole – si presenta come mezzo idoneo di comunicazione di una materia anche astratta, ma non solo. Il tempo è il grande leitmotiv che scorre attraverso le poesie, ma ciascuna racchiude un senso più intimo legato alla politica, alla comunicazione, al dubbio e, perché no? anche all’amore. Momenti intensamente lirici sono alternati a toni ironici (meravigliosa la pagina di letteratura comparata e la rivisitazione dell’ungarettiano “M’illumino d’immenso” in “M’affumico d’incenso”), immagini potenti (la Solitudine personificata, nuda e disperata, sempre avvinghiata a qualcuno e la sua ombra sorride da lontano), colori in blanco e nigro che si alternano alle luci (luz è parola ricorrente) in un rimando di ombre e di chiaroscuri che il poeta proietta oltre i versi. Le sovrapposizioni di epoche vengono evocate attraverso l’utilizzo di una terminologia ricca di rimandi temporali: questa la funzione degli aggettivi e dei sostantivi riferiti alle suddivisioni del giorno (nocturno, crepuscolares, vespertina, medianoche, alba mexicana, etc) e questa la funzione di verbi di percezione (e non percezione, primo tra tutti i verbi per eccellenza incatenati al tempo e al suo fluire irreparabile che implica una cancellazione: dimenticare, perder, olvidar). Significativa l’opzione di un lessico legato alla dimensione in cui il tempo si può concentrare o si sottrae al conteggio: dormir, oscuridad, adormecido, las oníricas incociencias. Un bellissimo libro, “Memorias del mañana“: qui ogni pagina è un momento prezioso, piacevole, libero. Leggendolo vi verrà voglia di rileggerlo, sottolinearlo, copiare qualche verso, vi verranno in mente delle domande. E qualche risposta l’autore ce la svela in “Dudas temporales”, con cui chiudiamo questa recensione:

Siempre jugamos a perder el momento justo

y el pasado está echo de momentos injustos

caídos como perlitas entre dedos distraídos

mientras que el presente de ahora es ficcion

que se admira en una vida frente al espejo

y nos hace creer que el futuro también existe

aunque el vago tiempo humilde no sabe

de relojes.

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Pentamerone Barbaricino

“Pentamerone barbaricino” si sfoglia piacevolmente, la lettura scorre veloce, la scrittura è sciolta e interessante. Un paesino della Barbagia è il sottofondo per la messa in atto di una rapina, ma, come spesso succede nella vita, l’imprevisto e l’imbroglio sconquassano i piani. Un fuoco incrociato, un fiume di sangue, e dentro la banca si ritrovano in quattro: i rapinatori Tinteri e Cadena, un imbelle impiegato e una distinta dottoressa. Passano le ore e, mentre il mondo esterno si dimostra sempre più indifferente al fatto, nei cinque giorni di “assedio” i protagonisti si confessano: i “banditi” narrano di pastorizia, faide e sangue, la donna di mistero e satanismi.

I legami col Decameron di Boccaccio sono diversi. Partiamo dal luogo che eslcude il mondo esterno (nel Decameron 3 ragazzi e 7 fanciulle si erano ritirati in una villa per sfuggire alla peste di Firenze e per ingannare il tempo raccontavano, ciascuno, una novella al giorno). Qui la peste è solo metaforica, ma sussiste così come rimane il concetto di sopravvivenza, l’eterna lotta tra i diseredati e i potenti, quello di imprevedibilità della vita, di amarezza della stessa, di inganno. E la mente, quella celebrata da Boccaccio come grande protagonista impalpabile di molte tra le sue cento novelle, primeggia insieme al narrato, al detto, al riportato, echi continui della sua potenza e dei suoi imbrogli.

Una bella prova di scrittura noir, quella di Gianfranco Cambosu, nuorese, insegnante di lettere in un liceo scientifico. L’autore ha pubblicato una relazione in Atti del congresso internazionale. L’ipogeismo nel Mediterraneo. Origini, sviluppo, quadri culturali, Università degli Studi di Sassari. Ha esordito nella narrativa col romanzo Menzogna dell’arca (Ennepilibri, 2006), già finalista due anni prima del Premio letterario nazionale “Grazia Deledda”, sez. “Narrativa giovani”. È risultato finalista anche di altri premi letterari, e ne ha vinto uno, “Racconti criminali”, con l’inedito Sas Ruches. Nel 2008 si è occupato di teatro partecipando alla realizzazione di alcuni testi confluiti nello spettacolo “La Rivolta”.

Titolo: “Pentamerone barbaricino”

Autore: Gianfranco Cambosu

Editore: Fratelli Frilli

Euro: 12,50

Ecco come l’autore ha risposto alle nostre domande facendo un’analisi profonda dell’opera:

Puoi inserire 1 citazione significativa di 6-7 righe?

Affondo la pala dentro il forno e ne cavo fuori una sfoglia di carasau gonfia di lievito. Poi la guardo dimagrire sul tavolo come una luna piena sgozzata dall’alba. Era l’ultima sfoglia, ora mi rimangono solo le parole. Parole, parole! Voglia di dirle, queste parole! Noi di Sas Ruches siamo fatti così: quando ci ballano in testa, o le capisci dalla faccia o giri le spalle e te ne vai…

Però che una come mia madre, dopo quello che aveva ordinato di fare, mi dicesse <<quella è una testolina>> oggi mi dà da pensare. Allora era mia madre e basta.

Qual è il plot?

Assediati e assedianti si raccontano durante la permanenza forzata in una banca dopo un colpo fallito. Alcune delle storie sono strettamente collegate a ciò che accade all’esterno.

Quando e come hai realizzato l’opera?

L’ho realizzato in circa due anni, dal 2006 al 2008, seguendo spunti differenti concernenti filosofia, cronaca nera e letteratura. L’idea fondamentale mi è venuta pensando al Decameron di Boccaccio.

Come hai architettato la struttura?

Anche in questo ho seguito il Decameron, sia pure in una prospettiva rovesciata. L’opera di Boccaccio parla di dieci giovani di condizione e di indole nobili che si riuniscono in una casa di campagna per sfuggire al degrado sociale e morale della peste e ristabilire il senso della dignità umana. Lo fanno secondo criteri di ordine e rispetto e raccontando a turno delle storie per dieci giorni. Nel mio Pentamerone i protagonisti trascorrono la metà di quel tempo, sempre raccontando delle storie che però si scopre che non sono staccate dalla cornice. Non tutte, almeno. Inoltre due dei narratori sono dei delinquenti che s’impongono un ordine solo per perseverare nella loro scelleratezza.

Come hai ideato i personaggi?

In qualche caso mi sono divertito a ridisegnare il profilo di persone conosciute parecchi anni fa e poi perse di vista, che all’epoca mi avevano stimolato la fantasia. E’ come se avessero preteso un aggiornamento e una rielaborazione, anche caricaturale, del mio ricordo. Altri nascono da vaghi riferimenti di cronaca nera.

Prendine uno e analizzalo

Potrei indicare il più spietato, Cadena, al secolo Bastiano Melis. Si tratta di un ometto basso e rozzo nei modi e nelle parole, più di quanto imponga il suo ruolo di rapinatore. La sua storia personale scaturisce tra le righe di una narrazione che conduce egli stesso in terza persona. Le sue aspettative sono le più elementari e allo stesso tempo più animalesche per uno della sua condizione. E’ attraverso la narrazione che riesce in parte a riscattarsi. C’è una frase del libro che lo riguarda e che a mio parere è abbastanza significativa: Però gli piacerebbe strappargli la pelle di dosso e dimostrare a Eleonora che il sangue è tutto uguale. Che scorre amarognolo anche dove sembra più dolce. E dove è più dolce, è più dolce perché il nutrimento è stato migliore.

Quali sono i requisiti che pretendi dalla tua scrittura?

Chiarezza, assenza di banalizzazione e ricerca lessicale che escluda in eguale misura termini troppo elementari e preziosismi accademici, a meno che non lo imponga la trama e limitatamente ad alcune parti.

Quali sono i maestri di stile?

In primis Calvino e Moravia, ma a seguire Michel Faber e Andrea de Carlo. In una certa misura anche Saramago.

La frase che ti piace di più

La promiscuità è ancora la stessa. La stessa fetida impossibilità di scrollarsi sguardi, tensioni e accenni di odio. Tre giorni, quasi settantadue ore, un’infinità di minuti. Non è più la fame, che non viene messa a tacere ormai da un po’, non è il freddo, non è la paura per quello che sta per succedere o che dovrà succedere…

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