Carte d’Avana di Davide Barilli

“Carte d’Avana” di Davide Barilli nasce con l’intento  di  mostrare aspetti poco conosciuti di Cuba.  Il libro -  composto da sue impressioni di viaggio e dagli acquerelli cubani di un pittore, Gerardo Lunatici -  è edito da Fedelo’s, una piccola e raffinata casa editrice, con cui l’autore pubblica, nella collana Riflessi,  brevi testi corredati da immagini di pittori stimati.


Da cosa nasce il tuo libro “Carte d’Avana”, uscito da pochi mesi in Italia e tra poco tradotto a Cuba?

Il fascino di Cuba sta nella sua gente, almeno quella che ho conosciuto io nel corso dei miei numerosi soggiorni nell’Isla: un popolo fiero e disperato, di grande umanità e desideroso di raccontare il suo Paese e i suoi enormi disagi oltre le apparenze. Spesso ne viene data un’immagine sbagliata: o troppo edulcorata dall’aspetto letterario o, al contrario, contaminata da un taglio giornalistico di tipo militante, ovvero ideologico.  Il libro nasce come una scheggia del mio ultimo romanzo “Le cere di Baracoa”. E’ una raccolta degli appunti che ho accumulato sui miei taccuini durante gli ultimi viaggi a Cuba, in particolare nella capitale; appunti fatti di incontri, sensazioni, paesaggi, abbozzi di storie. E’ un piccolo libro, composto da solo 48 pagine, edito da un nuovo editore coraggioso, ma devo dire che l’accoglienza della critica mi ha stupito; buon ultimo ne ha ampiamente parlato Alberto Bevilacqua sul Corriere della sera.

Il libro, composto da tue impressioni di viaggio accompagnate dagli acquerelli cubani di un pittore, Gerardo Lunatici,  è edito da Fedelo’s, una piccola e raffinata casa editrice sostenitrice di sinergie letterarie tra la letteratura e la pittura. Ci racconti un’impressione di viaggio?

Sono tantissime, troppe. Raccontandone una  svilirei tutte le altre che ho vissuto…..e poi, è tutto dentro  il mio libro…!. A parte gli scherzi, a Cuba ogni giornata viene sconvolta  da un inconveniente, una trappola,  un sogno. Ho subito fermi di polizia,  ho mangiato la miglior torta di cioccolato della mia vita, ho visto occhi indimenticabili, ho salvato vite e ne ho  attraversato  tantissime.  Mi sono portato a casa pagine di appunti, una stupenda sedia a dondolo in legno di cedro da cui non mi separerò mai… e  pochissimi souvenir : niente magliette con il Che, niente sigari, niente bottiglie di liquori (a parte qualche petaca da tasca contenente  rom a granel….rum fatto in casa….).  Ma la sensazione dominante è quella di essere  sull’orlo di un precipizio, si ha la sensazione che qualcosa stia per concludersi, per crollare, e di essere lì come uno degli ultimi testimoni…ed è una sensazione  impagabile, te lo assicuro!

Il tuo amore per l’America Latina si evince anche da “Le cere di Baracoa” (Mursia), che si gioca la vittoria al Premio Città di Fabriano, proprio – per una curiosa coincidenza -  il 27 novembre, giorno del tuo compleanno. Augurandoti che questa data ti sia propizia, ti chiedo una citazione significativa di 6-7 righe.

«…E dunque anche di lui  parlerò.  Del bicicletero che mi arpionò nella strada polverosa spazzata dal vento delle grandi eliche,  a qualche decina di metri dall’aeroporto di Holguin. Era il classico rasta senza un peso in tasca. Portava i  capelli arrotolati in un ispido treccione da cavallo; i suoi occhi metallici   dardeggiavano nel tramonto tremolante e  calzava   screpolate ciabatte gialle di gomma che facevano pensare a fragili coccodrillini imbalsamati.

«Que bola, italiano… non tenere paura, Barroso està aquì…», furono le sue prime parole. Avrà avuto più o meno una quarantina d’anni. La puntuta barbetta da capra, leggermente imbiancata, incorniciava il suo volto largo e nero rendendolo simile a un antico idolo primitivo.

Ma a colpirmi era  stata la voce, dolente, un po’ nasale, funerea, come uscisse dalle canne di uno strumento ligneo mal conservato.

Con lentezza da bradipo,  estrasse da una tasca dei jeans un mucchietto di biglietti da visita spiegazzati che, appena liberati dall’elastico,  volarono via nell’aria resa folle dal via vai degli aerei in partenza.

Si  chinò a raccoglierli. Ed anch’io, d’impulso, appoggiai lo zaino e lo aiutai a recuperarli nella polvere….»

Come hai architettato la struttura?

Su due piani, temporali e spaziali. Parte della vicenda si svolge nella pianura padana alla fine della seconda guerra mondiale, ma poi il romanzo si sposta nelle foreste di Panama e successivamente a Cuba, in tempi più recenti

Come realizzi i tuoi personaggi? Li studi, li rubi alla realtà, prendi spunto e poi li reinventi…

Non ricordo più chi lo ha detto, forse nessuno, quindi in tal caso è farina del mio sacco: ogni personaggio è frutto dell’incantesimo che si crea dall’incontro tra il proprio vissuto, l’improbabile, l’immaginario, le secche della grande Storia e la memoria perduta.

Prendine uno e analizzalo

Barroso, il bicicletero, di cui parlo nell’estratto del romanzo poche righe qui sopra….rappresenta una sorta di Virgilio, ma anche di Caronte…Una guida con ben poco di spirituale, che mi ha accompagnato nei miei primi viaggi cubani…Un incontro con la santeria, la cuba africana, che rispecchia mondi complessi, ambigui, in  perenne  bilico tra l’imbroglio, il trucco e la fantasticheria…

Quali sono i requisiti che pretendi dalla tua scrittura?

Fulvio Panzeri ha scritto che nei miei libri il contesto padano diventa  un’occasione, una sorta di repertorio entro il quale scovare radici e umori che ”lo scrittore reinventa attraverso una sorta di enigmatica e visionaria condizione sudamericana”. Come narratore mi interessa molto lavorare sulla memoria. Penso che uno scrittore non possa prescindere dall’arsenale di ricordi, suoi o tramandati, che possiede. E’ una risorsa straordinaria vedere come il passato costantemente si sposta. In apparenza, rispetto al presente o al futuro, il passato è l’unico tempo reale, assodato, concreto, immobile. Ma a ben pensarci  ogni ricordo è sfuggente, è solo  un’insieme di istantanee, spesso sfuocate, che si impongono come archetipi, di volta in volta diversi. In tale ottica, l’esplorazione del tempo si tramuta in una sorta di viaggio in un museo bugiardo. Ci sembra di osservare, ma tra noi e l’oggetto – il ricordo – esiste una specie di barriera, ed è sempre il ricordo a muoversi, mostrando  di volta in volta una faccia diversa.

Com’è l’ambiente culturale/intellettuale italiano? Partecipi ai dibattiti letterari, ti entusiasmano, annoiano, o cos’altro?

Non esiste un unico ambiente. Ci sono autori che devono vivere nel branco, altri che esistono solo se hanno un  protettore, ma ci sono anche i solitari,  gli opportunisti, i ragionieri della letteratura, i festaioli, i mistici, gli agenti di se stessi, i velleitari, i talentuosi, i mediocri….madamina il catalogo è questo…e molto di più…Insomma, un teatrino che va visto a distanza, cercando di non prenderne parte….altrimenti il rischio che si corre  è quello di farsi contagiare…Credo che i dibattiti passino, mentre a restare sono i libri, con le loro pagine (misere o splendenti, sarà il tempo – e non il pubblico – a dirlo).

Salutaci svelandoci un trucco del tuo mestiere di scrittore.

Mi piace scrivere scalzo, appoggiando i piedi su un pavimento di legno…non so se aiuta a scrivere meglio, ma è una sensazione bellissima e le sensazioni bellissime vanno sempre vissute…!

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