“Pentamerone barbaricino” si sfoglia piacevolmente, la lettura scorre veloce, la scrittura è sciolta e interessante. Un paesino della Barbagia è il sottofondo per la messa in atto di una rapina, ma, come spesso succede nella vita, l’imprevisto e l’imbroglio sconquassano i piani. Un fuoco incrociato, un fiume di sangue, e dentro la banca si ritrovano in quattro: i rapinatori Tinteri e Cadena, un imbelle impiegato e una distinta dottoressa. Passano le ore e, mentre il mondo esterno si dimostra sempre più indifferente al fatto, nei cinque giorni di “assedio” i protagonisti si confessano: i “banditi” narrano di pastorizia, faide e sangue, la donna di mistero e satanismi.
I legami col Decameron di Boccaccio sono diversi. Partiamo dal luogo che eslcude il mondo esterno (nel Decameron 3 ragazzi e 7 fanciulle si erano ritirati in una villa per sfuggire alla peste di Firenze e per ingannare il tempo raccontavano, ciascuno, una novella al giorno). Qui la peste è solo metaforica, ma sussiste così come rimane il concetto di sopravvivenza, l’eterna lotta tra i diseredati e i potenti, quello di imprevedibilità della vita, di amarezza della stessa, di inganno. E la mente, quella celebrata da Boccaccio come grande protagonista impalpabile di molte tra le sue cento novelle, primeggia insieme al narrato, al detto, al riportato, echi continui della sua potenza e dei suoi imbrogli.
Una bella prova di scrittura noir, quella di Gianfranco Cambosu, nuorese, insegnante di lettere in un liceo scientifico. L’autore ha pubblicato una relazione in Atti del congresso internazionale. L’ipogeismo nel Mediterraneo. Origini, sviluppo, quadri culturali, Università degli Studi di Sassari. Ha esordito nella narrativa col romanzo Menzogna dell’arca (Ennepilibri, 2006), già finalista due anni prima del Premio letterario nazionale “Grazia Deledda”, sez. “Narrativa giovani”. È risultato finalista anche di altri premi letterari, e ne ha vinto uno, “Racconti criminali”, con l’inedito Sas Ruches. Nel 2008 si è occupato di teatro partecipando alla realizzazione di alcuni testi confluiti nello spettacolo “La Rivolta”.
Titolo: “Pentamerone barbaricino”
Autore: Gianfranco Cambosu
Editore: Fratelli Frilli
Euro: 12,50
Ecco come l’autore ha risposto alle nostre domande facendo un’analisi profonda dell’opera:
Puoi inserire 1 citazione significativa di 6-7 righe?
Affondo la pala dentro il forno e ne cavo fuori una sfoglia di carasau gonfia di lievito. Poi la guardo dimagrire sul tavolo come una luna piena sgozzata dall’alba. Era l’ultima sfoglia, ora mi rimangono solo le parole. Parole, parole! Voglia di dirle, queste parole! Noi di Sas Ruches siamo fatti così: quando ci ballano in testa, o le capisci dalla faccia o giri le spalle e te ne vai…
Però che una come mia madre, dopo quello che aveva ordinato di fare, mi dicesse <<quella è una testolina>> oggi mi dà da pensare. Allora era mia madre e basta.
Qual è il plot?
Assediati e assedianti si raccontano durante la permanenza forzata in una banca dopo un colpo fallito. Alcune delle storie sono strettamente collegate a ciò che accade all’esterno.
Quando e come hai realizzato l’opera?
L’ho realizzato in circa due anni, dal 2006 al 2008, seguendo spunti differenti concernenti filosofia, cronaca nera e letteratura. L’idea fondamentale mi è venuta pensando al Decameron di Boccaccio.
Come hai architettato la struttura?
Anche in questo ho seguito il Decameron, sia pure in una prospettiva rovesciata. L’opera di Boccaccio parla di dieci giovani di condizione e di indole nobili che si riuniscono in una casa di campagna per sfuggire al degrado sociale e morale della peste e ristabilire il senso della dignità umana. Lo fanno secondo criteri di ordine e rispetto e raccontando a turno delle storie per dieci giorni. Nel mio Pentamerone i protagonisti trascorrono la metà di quel tempo, sempre raccontando delle storie che però si scopre che non sono staccate dalla cornice. Non tutte, almeno. Inoltre due dei narratori sono dei delinquenti che s’impongono un ordine solo per perseverare nella loro scelleratezza.
Come hai ideato i personaggi?
In qualche caso mi sono divertito a ridisegnare il profilo di persone conosciute parecchi anni fa e poi perse di vista, che all’epoca mi avevano stimolato la fantasia. E’ come se avessero preteso un aggiornamento e una rielaborazione, anche caricaturale, del mio ricordo. Altri nascono da vaghi riferimenti di cronaca nera.
Prendine uno e analizzalo
Potrei indicare il più spietato, Cadena, al secolo Bastiano Melis. Si tratta di un ometto basso e rozzo nei modi e nelle parole, più di quanto imponga il suo ruolo di rapinatore. La sua storia personale scaturisce tra le righe di una narrazione che conduce egli stesso in terza persona. Le sue aspettative sono le più elementari e allo stesso tempo più animalesche per uno della sua condizione. E’ attraverso la narrazione che riesce in parte a riscattarsi. C’è una frase del libro che lo riguarda e che a mio parere è abbastanza significativa: Però gli piacerebbe strappargli la pelle di dosso e dimostrare a Eleonora che il sangue è tutto uguale. Che scorre amarognolo anche dove sembra più dolce. E dove è più dolce, è più dolce perché il nutrimento è stato migliore.
Quali sono i requisiti che pretendi dalla tua scrittura?
Chiarezza, assenza di banalizzazione e ricerca lessicale che escluda in eguale misura termini troppo elementari e preziosismi accademici, a meno che non lo imponga la trama e limitatamente ad alcune parti.
Quali sono i maestri di stile?
In primis Calvino e Moravia, ma a seguire Michel Faber e Andrea de Carlo. In una certa misura anche Saramago.
La frase che ti piace di più
La promiscuità è ancora la stessa. La stessa fetida impossibilità di scrollarsi sguardi, tensioni e accenni di odio. Tre giorni, quasi settantadue ore, un’infinità di minuti. Non è più la fame, che non viene messa a tacere ormai da un po’, non è il freddo, non è la paura per quello che sta per succedere o che dovrà succedere…