Nuova magica, avvincente avventura per Edizioni XII: il libro “Melodia” di Daniele Bonfanti è da poco uscito e già se ne parla in termini non solo alchemici. Scegliendo una struttura di cornice nella cornice, l’autore ha compiuto “una magia metaletteraria con la fluidità del prestigiatore e con la sapienza di chi conosce bene la materia che sta narrando”. Al centro delle cornici si staglia Mattia, il protagonista, e la musica da lui composta, cui manca solo la nota finale. Ma la melodia risposa nei meandri oscuri del ricordo e Mattia, adottato da piccolo, deve indagare non solo sui veri genitori: deve proprio tornare alle origini e deve rispondere a una serie di quesiti oscuri che si appianeranno scorrendo le pagine, ognuno al momento debito. Il libro scorre fluido e piacevole, l’emozione attanaglia, la sospensione rimanda a emozioni fiabesche (la ricerca genitoriale, il mistero, la figura femminile fatata, etc) che si intrecciano sapientemente alla realtà. Ma entriamoci dentro, in questo libro stregato, e facciamolo con l’autore:
Puoi inserire una citazione significativa di 6-7 righe?
Non riesco a autocitarmi, per cui metto la citazione – appunto, mi chiedevi una citazione, no? – che apre il terzo capitolo (il primo dopo le cornici): Forse ogni musica, anche la più nuova, non è tanto qualcosa di scoperto, quanto qualcosa che riemerge da dove giace sepolto nella memoria, inudibile come una melodia incisa in un disco di carne. (Jean Genet)
La trama in una riga
La caccia di una musica-ossessione è la cerca per il vero volto del mondo. Con gatti.
Quando e come è nata l’idea di base?
Deriva da un mio vissuto – come quasi sempre accade per ciò che scrivo, anche se poi distorco. Parliamo del lontano 1998. Mi capitava spesso, quando sedevo al pianoforte per comporre, di avere la chiara sensazione di non stare creando, ma stare ricordando. E lo stesso in determinati passaggi della musica che ascoltavo: mi pareva di cogliere come una finestra su un ordine di cose più ampio, diverso, misterioso. Spesso in maniera fulminante, tanto da lasciarmi stordito. Quando dico “ricordare” non intendo una musica udita da qualche parte, ma qualcosa di molto antico e molto profondo. E di molto, molto importante. Assoluto.
Come hai architettato la struttura?
Tanti schemi, diagrammi di flusso e simili, in cui sono stati disposti gli eventi a blocchi, sottoblocchi e blocchetti. Per poi assemblarli e riassemblarli e incastrarli in modo da cercare di creare equilibri, o squilibri voluti. Musicali. E matematici (è lo stesso). L’intenzione era di creare un crescendo continuo di bassi, con variazioni veloci e imprevedibili sul canto; e quindi una creatura che cresce, continuando però a sfuggire e mutare.
Perché questa divisione in capitoli?
Ogni capitolo – escluse le cornici che servono da struttura portante – corrisponde a un paradigm shift. A ogni nuovo capitolo la visione del mondo di Mattia cambia, si amplia; è come se ci si allontanasse dalla centralità individuale iniziale, per vedere il quadro generale da un punto d’osservazione sempre più distante e complessivo. Da un microcosmo interiore a un macrocosmo (dove tutto torna, cambiato ma uguale), attraverso una trasformazione di sé che comporta una serie di snodi e soglie.
Come hai ideato i personaggi?
Spesso mi baso su persone che conosco e le uso come prototipi, mescolando però poi caratteri di una e dell’altra per creare ibridi nuovi, a cui ovviamente si sommano caratteri inventati. Per ogni personaggio è stata poi stesa una scheda a cipolla: un primo livello riassuntivo con i caratteri più salienti sia a livello fisico che psicologico, quindi un secondo livello più dettagliato, e un terzo livello approfondito, comprensivo di una biografia. È chiaro che nel romanzo emergono solo una piccola parte dei dati raccolti in queste schede, ma occorrono per avere personaggi che siano coerenti, verosimili, e che non si limitino a recitare il proprio ruolo ma si lascino respirare dal lettore.
Prendine uno e analizzalo
L’unico che posso analizzare senza spoilerare mezza trama direi che è Mattia, il protagonista, così com’è all’inizio del romanzo – perché poi cambierà molto, compiendo un suo peculiare percorso iniziatico. Ha 27 anni, è un bassista professionista, con una conoscenza approfondita della musica (è diplomato presso il conservatorio). Suona in una band metal, lavora presso una scuola di musica e studio di registrazione, e dà lezioni private. Dal suo strumento ha tratto precisione, metodicità, l’attenzione per le radici profonde delle cose, che ai più sfuggono ma reggono tutto il resto, la tranquillità pronta a esplodere e la capacità di improvvisare. Nonché un’ottima manualità. Dalla musica in generale una chiara attitudine romantico-decadentista, un forte estetismo, una sensibilità e propensione lirica, declinata su un pessimismo cosmico. È un alpinista. Da questa disciplina ha probabilmente attinto o potenziato diversi tratti caratteriali, in particolare: rapidità di reazione; capacità di mantenere il controllo, anche nelle situazioni d’emergenza; determinazione; tolleranza della pressione psicologica e dell’adrenalina; sicurezza. E senz’altro anche tratti fisici: è infatti molto forte e molto resistente, ha un fisico capace di grande sopportazione della fatica o delle condizioni climatiche. Da entrambe le discipline (musica e montagna) ha tratto la capacità di cogliere i particolari nel quadro generale. È anche molto colto, per una naturale – questo è il suo tratto in assoluto più marcato – curiosità intellettuale che lo porta a appassionarsi moltissimo di alcuni argomenti che lo stuzzicano, e dei quali legge e impara moltissime pagine a memoria o quasi. Conosce diverse lingue (italiano, francese, inglese, latino e un po’ di tedesco). È una persona molto, molto cinica, che s’interessa dei propri obiettivi e non si cura di tutto quello che ne esula. Nei confronti di tutto ciò che non gli interessa resta estremamente insensibile e freddo. È spesso strafottente e spaccone, ha una strana ironia grottesca e nera, molto distorta e wicked. È assai impulsivo, fidandosi moltissimo del suo intuito (lo stesso intuito del musicista e dell’alpinista), e spesso compie grossi salti nel vuoto verso conclusioni assai azzardate. Mi fermo qui, la risposta è già fin troppo lunga.
Quali sono i requisiti che pretendi dalla tua scrittura?
A livello di stile: musicalità, ritmo, velocità, pulizia, precisione, fluidità, solidità, densità, cura, chiarezza, potenza, eleganza. (In realtà potrei andare avanti, poiché esigo molto da me stesso – il che non significa che poi lo ottengo, tutt’altro!).
A livello di strutture e contenuti: complessità, che il lettore si diverta, e gli sorga qualche interrogativo sulla nostra realtà; che non sia tutto servito ma ci debba mettere testa anche lui, che insomma del libro non sia solo “spettatore”, ma si senta partecipe.
Quali sono i maestri di stile?
Troppi per citarli tutti, e nessuno in particolare; cerco di imparare qualcosa da ogni singola cosa che leggo, di non imitare nessuno ma di tenere presente tutti. Più di ogni altro, comunque, è senza dubbio Umberto Eco
La frase che ti piace di più
Sfuggo. Facciamo che la devi dire tu, come ti dicevo non ci riesco proprio a autocitarmi…
Io (Marilù) scelgo:
«Pensa che il mondo sia quello che lui vede, che lui sente, che lui può percepire. Che sia quello e solo quello. Il resto non esiste. Solo bugie. Eppure sa che ci sono colori che i suoi occhi non possono vedere, suoni che le sue orecchie non possono udire, sa di non avere sensi che altri animali hanno per conoscere il mondo. Pensa che il mondo sia quella ricostruzione che il suo cervello fornisce di quanto i suoi sensi percepiscono».