“Velina o calciatore, altro che scrittore!” di Gordiano Lupi (Historica Edizioni, 2010) è una disamina sul mondo editoriale italiano, un’analisi dei meccanismi bel oliati da una legge di mercato spesso senza scrupoli. Se è vero che “fare lo scrittore e l’editore in un paese come questo ci vuole fantasia”, l’autore può parlare con cognizione di causa nella duplice veste, appunto, di scrittore e direttore delle Edizioni Il Foglio, una di quelle piccole realtà editoriali che sopravvive come un Davide tra i tanti Golia: «E allora apriamo ipermercati del libro a più non posso per vendere best-seller e noi piccoli rifugiamoci nelle riserve indiane, su internet, nelle fiere della microeditoria. Tanto siamo una razza in estinzione. Non dureremo molto…».
Con uno stile scorrevole intriso di ironia, piacevolmente ravvivato da qualche contaminazione del parlato toscano e da interessanti incursioni nella sua storia professionale, questo autore di Piombino si scaglia contro alcune logiche consumistiche, tra le quali, per esempio, il fenomeno dei libri-panettone. E lo fa elargendo però anche buoni consigli: «E allora per Natale astenetevi dagli scrittori panettone e compratevi un libro targato Adelphi o Guanda, ché magari cascate bene. Cercatevi un classico. Comprate un libro edito da un piccolo editore sconosciuto che ancora cerca la qualità».
Lupi non risparmia nomi di scrittori, case editrici, riviste letterarie, addetti ai lavori. Attenzione: questo approfondimento non è stigmatizzato solo in negativo: accanto alle crepe del sistema-editoria, vengono anche individuati libri validi, direttori di collana che osano e non si piegano alle mode, riviste letterarie interessanti e scrittori onesti. Ma, di fianco a questi ultimi, nuovo esempio, l’altra faccia della medaglia, incarnata in questo caso dagli scrittori che non si dovrebbero pubblicare:
«Basta parlare di grandi editori e di personaggi televisivi travestiti da scrittori, ché i mali dell’Italia letteraria mica sono soltanto questi. No davvero. Ci sono i presunti scrittori, grafomani che credono al valore terapeutico della letteratura e vorrebbero ammorbarci con le loro cazzate. Ve li raccomando. Autori che meritano editori a pagamento, ché se uno deve pubblicare una stronzata è giusto che ci guadagni dei soldi, se no cosa la pubblica a fare. Autori che cerco di evitare come la peste, ma si sa che le malattie infettive ti contagiano pure se non vuoi e di tanto in tanto si fa vivo qualche esaltato per posta elettronica. Scrittori di provincia che si credono nuovi Proust, loro non sono sboccati come me, no davvero, loro scrivono lunghe lamentazioni sul passato, divagano sul senso della vita, si sentono veri poeti, pure se sono poveri dementi. Da non pubblicare, pena lunghissime mail di scrittori insoddisfatti per non aver venduto un milione di copie, di grafomani impazziti che non si spiegano come mai il mondo intero non legga il loro libro. Ecco, questi autori vanno indirizzati a editori a pagamento, nella speranza che li spennino bene, ché certa gente merita soltanto questo.
Un’altra razza di autori, invece, sono le teste di cazzo irriconoscenti, gente che tu piccolo editore di provincia li hai pubblicati, portati al premio Strega, c’hai fatto notte per distribuire il libro e dopo loro pubblicano con Bompiani e ti vanno in culo alla grande. Non ti citano neppure. Ti tolgono i diritti dal libro, lo ripubblicano e tu non esisti, non sei mai esistito nella loro vita, ché rappresenti una macchia troppo grande. Magari dopo sono pure così ipocriti da mandarti il libro edito da Bompiani con dedica, ma parlare di te, dire che li hai scoperti, no, troppo disagio. E allora capita che prendi il loro libro edito da Bompiani e dopo aver cacato alla grande ti ci pulisci il culo, pagina dopo pagina, ché la carta di Bompiani è uso mano, fanno trentamila copie, c’hanno i reimanders che smerciano l’invendibile. Ce ne saranno ancora di scrittori così, teste di cazzo assolute, che voi editori microscopici di provincia non dovete pubblicare».
Certo, si può leggere questo libro scorrevole e non trovarsi d’accordo su tutti i punti – come è accaduto alla sottoscritta. Ma si deve ammettere l’onestà dell’autore, e il suo voler esaminare, capire, criticare (nel senso alto del termine) non è – checché lui ne dica – indice di rassegnazione. Perché sembra invece che, sotto sotto, in un recesso lontano del suo cuore, Gordiano Lupi ci creda ancora a un mondo (editoriale, ma non solo) migliore.
di Marilù Oliva