Quello delle 7.40

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Camminate spocchiose, atletiche, insicure o strascicate. Centinaia di passi lungo la banchina. Tacchi a spillo, mocassini, chanel e anfibi. Decine di gambe sedute sui sedili. Accavallate, scomposte, allungate, talvolta impegnate in giochi di seduzione. Per piacere o per noia.

Lo sporco rende opachi i finestrini, il plumbeo serale resta all’esterno. Nei vagoni si procede come all’interno di una parentesi graffa, sino al capolinea. Poi la pace della sera.

Il treno borbotta discretamente, i binari si stiracchiano e di tanto in tanto si sente uno scricchiolio.

Il motore decelera e la ragazza mora vicino al finestrino chiude il libro dalla copertina verde; una donna, stanca da più di un giorno, guarda in direzione del finestrino opaco con sguardo vitreo; un uomo smette di accarezzare le calze 20 dan della sua vicina di posto.

Un sobbalzo sordo e un botto, un altro treno sta correndo parallelo.

Altri vagoni, altre vite, alcune in letargo.

Altri tailleurs e altri jeans. Ignari della propria consistenza.

Dal torpore delle coperte la sirena lontana della locomotiva ci riscalda, più del pallido sole che ci attenderà al risveglio.

Sulla mensola della libreria un modellino in legno di un treno ci trasporta comodamente in altri paesi, della mente e del cuore.

Seduti sul rapido delle 8.21 sfogliando un giornale, col sapore di caffè latte e marmellata ancora in bocca mentre le nuvole, a nostra insaputa, prendono spazio nel cielo.

Un’altra carrozza ci accompagnerà questa sera, intanto il nuovo sole si accinge a compiere la sua parabola.

Non possiamo dire al sole di brillare di più o alla pioggia di bagnarci di meno, ma possiamo continuare a camminare quando il vento ci sputa indietro e la pioggia ci butta schiaffi addosso, fino a scovare quella parte di luce che sempre, anche quando è scarsa, esiste in ogni giorno.

Jacky

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One Response to Quello delle 7.40

  1. Giancarlo Coscia says:

    Bellaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa ……………..

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