John Dee: il mago di corte di Elisabetta

 

John Dee (13 luglio 1527-1608 o 1609) è stato un inglese matematico , astronomo , astrologo , occultista , navigatore , imperialista  e consulente per la regina Elisabetta I . Ha dedicato gran parte della sua vita allo studio di alchimia , divinazione e ermetica filosofia .

Dee a cavallo tra i mondi della scienza e magia così come sono stati sempre distinguibili. Uno degli uomini più colti del suo tempo, era stato invitato a tenere una conferenza sull’algebra alla Università di Parigi , mentre ancora poco più che ventenne. Dee era un ardente promotore di matematica e un astronomo rispettato, così come uno dei maggiori esperti in navigazione , avendo istruito molti di coloro che avrebbero condotto viaggi di scoperte  in Inghilterra .

Contemporaneamente a questi sforzi, Dee si è immerso nel mondo della magia , l’astrologia e la filosofia ermetica . Dedicò molto tempo e fatica negli ultimi trenta anni circa della sua vita a tentare di comunicare con gli angeli per imparare il linguaggio universale della creazione e realizzare la pre-apocalittico unità del genere umano. Studente del neoplatonismo rinascimentale di Marsilio Ficino , Dee non ha distinzioni tra la sua ricerca matematica e le sue indagini magia ermetica, evocazione angelica e divinazione. Invece ha considerato tutte le sue attività a costituire diverse sfaccettature della stessa ricerca: la ricerca di una comprensione trascendente delle forme divine che sono alla base del mondo visibile, che Dee chiamata “pura verità”.

Elevato allo status di studioso, gli è stato  permesso di svolgere un ruolo nella politica elisabettiana. Ha servito come consulente occasionale e tutore di Elisabetta I e nutrito i rapporti con i suoi ministri Francis Walsingham e William Cecil . Dee ha anche istruito e goduto i rapporti con il patrocinio di Sir Philip Sidney , suo zio Robert Dudley, 1 ° conte di Leicester , e Edward Dyer . Egli ha anche goduto del patrocinio di Sir Christopher Hatton .

(tratto da http://en.wikipedia.org/wiki/John_Dee )

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L’asse di S.Michele: la Sacra di S.Michele Arcangelo

 

L’angelo Michele ricorre cinque volte nella Sacra Scrittura: in particolare, nel libro di Daniele, di lui si dice essere il capo supremo dell’esercito celeste in difesa dei giudei perseguitati, mentre nel libro dell’’Apocalisse, Michele è il principe degli angeli fedeli a Dio, combatte e scaccia il drago (Satana) e gli angeli ribelli.
San Michele è quindi venerato dalla tradizione cristiana come difensore del popolo cristiano, e, rappresentato come guerriero, è chiamato in difesa contro i nemici della Chiesa. 

Qui il link da visitare con le info per raggiungere l’Abbazia in Piemonte:

http://www.sacradisanmichele.com/ita/test_display/index/id/16/cat/8/

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RAPPORTO GUYARD 1999: LE FINANZE DELLE SETTE

Un interessante escursus sulle sette segrete, i motivi che le spingono a costituirsi e le leggi-maschera che le trasformano in enti associativi senza scopo di lucro, tali da essere legamente legittimate.

Allego qui un estratto dal Rapporto Guyard del 1999, e il link per leggere on-line tutta la tesi.

Introduzione

 All’inizio delle sue Anti-memoires, André Malraux racconta una conversazione con il prete che, durante la Resistenza, era cappellano di Vercors: «Che cosa apprende la confessione dagli uomini? Che le persone sono molto più infelici di quanto si creda e, alla fine, che non esistono grandi persone».

I diversi lavori che, per una ventina d’anni, hanno cercato di circoscrivere, con sempre maggior precisione, il fenomeno settario potrebbero legittimamente sottoscrivere questa constatazione. Come spiegare, altrimenti, un fenomeno che apparentemente rifugge da ogni razionalità?

Nessuno può negare che il primo alimento delle sette, accanto ai dubbi sul senso dell’esistenza e i discorsi sull’«eccesso del valore della tolleranza» secondo la definizione di un eminente accademico, proviene dalla miseria umana, parte integrante della nostra società evoluta di fine secolo: disoccupazione e timore di perdere il lavoro, margini di grande povertà che nessuna politica sociale ha potuto, finora, veramente riassorbire; malattie incurabili e un incomprensibile tasso di morbosità contro ciò verso cui la medicina tradizionale mostra crudelmente i suoi limiti; solitudine crescente in un universo che ha perso gran parte delle sue istituzioni tradizionali di solidarietà; la sempre crescente complessità della vita quotidiana che suscita sogni di evasione.

Lo sviluppo delle sette rimane, soprattutto, il sintomo del malessere sociale. Anche se non esiste un seguace-standard, si può tuttavia determinare il profilo del candidato ad essere vittima di una setta: è chi, a ragione o torto, spesso crede di essersi scontrato con l’ingiustizia o le privazioni, che vive una mancanza affettiva, qualsiasi sia il suo status sociale o intellettuale, ha varcato il limite della fragilità che lo rende particolarmente vulnerabile alle tentazioni settarie.

Da parte sua la Commissione d’Inchiesta costituita nel 1995 in seno all’Assemblea Nazionale ha, nel suo rapporto, sottolineato il forte legame tra lo sviluppo del fenomeno settario e l’esistenza di una domanda, di bisogni che non trovano altro modo per essere soddisfatti.

Inoltre se è evidente che il contesto in cui il fenomeno settario si sviluppa non può essere ignorato – sociologia e psicologia settaria sono state e sono tuttora oggetto di analisi multiple ed approfondite da parte degli specialisti del campo – e che sforzi significativi di sensibilizzazione della pubblica opinione e mobilitazione delle pubbliche autorità sono stati portati avanti di recente, l’idra non solo è sempre viva, ma sembrerebbe evolversi e prosperare in un corpo sociale ancora incapace di secernere un antidoto. Ecco perché l’Assemblea Nazionale il 15 dicembre 1998 ha deciso che era venuto il momento di rimettersi all’opera per completare e proseguire il lavoro svolto nel 1995. Poiché se, in una sola frase, dovessimo caratterizzare l’evoluzione del fenomeno settario negli ultimi anni, dovremmo mostrare quanto ha perso in spiritualità e acquisito in mercantilismo, e quanto la sua nocività sia altrettanto cresciuta. È perciò stato necessario mettere l’accento su aspetti più precisi dell’attività delle sette, vale a dire la loro dimensione e il loro intervento in ambiti economici e finanziari.

È chiaro a tutti coloro che si occupano degli intrighi delle sette – dagli specialisti individuali del fenomeno, alle associazioni delle vittime fino alle organizzazioni pubbliche – che spesso il denaro costituisce al contempo il motore del veicolo, la destinazione del tragitto e i meandri del cammino. Tuttavia se la ricerca di mezzi materiali e addirittura del profitto non ha, in sé, alcunché di riprovevole, è però necessario che ciò avvenga nel rispetto delle regole e delle libertà fondamentali dell’individuo. Analizzare il potere finanziario ed economico delle sette, far luce, se necessario, sulle derive rilevate in modo da poter suggerire misure correttive è perciò diventata una missione di interesse pubblico, la cui esigenza è sentita da tutti i gruppi politici rappresentati nell’Assemblea Nazionale. Questo è il senso dell’adozione, all’unanimità, della risoluzione per la creazione di una commissione di inchiesta su “situazione finanziaria, patrimoniale e fiscale delle sette, sulle loro attività economiche e le loro relazioni con gli ambienti economici e finanziari”.

http://xenu.com-it.net/txt/guyard02.htm

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Paola Giovetti: I misteri di Glastonbury

 

Romanzo ambientato nella mitica città inglese di Glastonbury, legata al Graal e alla saga di re Artù. I protagonisti, un musicista e una scrittrice, vivono qui straordinarie avventure che aprono all’ignoto e ai misteri che ci circondano. Trama avvincente scritta con humor e leggerezza.

L’autrice è presente al salone del Buk Modena domenica 20 alle ore 18,00, sala Alda Merini per presentare il suo libro.

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Commemorazione del Giorno Pagano Europeo della Memoria – Milano

 

articolo di Lorena Bianchi
Ricordiamo l’anniversario degli editti dell’imperatore Teodosio, emanati proprio a Milano, che portarono alla fine del paganesimo: il Decreto del 24 febbraio 391, “Nemo se hostiis polluat”, portò allo spegnimento del Fuoco Sacro di Vesta a Roma e alla condanna e persecuzione dei culti pagani antichi di decine di migliaia di anni.

Con una candela rossa intendiamo riflettere e meditare su quella triste data che distrusse principi …filosofici e morali sacri e connaturati con l’Uomo: per tale motivo durante l’incontro si procederà alla lettura dell’Inno Orfico a Estia, Dea custode del Fuoco Sacro nelle città ellenistiche, e a quello di Mnemosyne, personificazione della memoria.

Per chi voglia partecipare, sono benvenute offerte di cibo per gli uccellini, statuine da porre sul luogo della celebrazione, oppure comporre un proprio ricordo del significato di quell’evento antico. Anche se quel Fuoco è stato spento, la fiamma dei suoi ideali, di vita e protezione, così legati alla nostra specie, non si è mai estinta e siamo oggi più che mai consapevoli che quel gesto non distrusse l’Antica Religione, al pari di tutte le persecuzioni successive.

Ora
giovedì 24 febbraio · 17.30 – 18.00

Luogo Castello Sforzesco, ingresso principale sotto la Torre del Filarete

Piazza Castello

 

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Feste Celtiche: Imbolc

 

Il 2 febbraio, festa della Candelora, è la ricorrenza di Imbolc, un’antica festa celebrazione contadina di origine celtica.  Il cristianesimo missionario fece si che le due feste cadessero in concomitanza. Le leggende e le tradizioni che vorticano attorno a questo giorno sono riportate in un bellissimo sito di cui allego il link qui sotto:

http://www.ilcerchiodellaluna.it/central_calend_imbolc.htm

Imbolc: la festa della luna crescente

Siamo piene di grazia.
piene di grazia come una donna
che ha appena partorito,
o come l’alba che partorisce il sole.
piene di grazia
per illuminare di bello ciò che ascoltiamo,
e ciò che ci ascolta.
lentamente, verso il Nuovo
(valentina, barbara, noemi)E’ l’energia di Imbolc: grazia, purezza, luce e rinascita.

Il Cerchio della Luna propone per Imbolc una serata aperta di celebrazione

Imbolc
La luce che è nata al Solstizio di Inverno comincia a manifestarsi all’inizio del mese di febbraio: le giornate si allungano poco alla volta e anche se la stagione invernale continua a mantenere la sua gelida morsa, ci accorgiamo che qualcosa sta cambiando. Le genti antiche erano molto più attente di noi ai mutamenti stagionali, anche per motivi di sopravvivenza. Questo era il più difficile periodo dell’anno poiché le riserve alimentari accumulate per l’inverno cominciavano a scarseggiare. Pertanto, i segni che annunciavano il ritorno della primavera erano accolti con uno stato d’animo che oggi, al riparo delle nostre case riscaldate e ben fornite, facciamo fatica ad immaginare.

Se sovrapponiamo la Ruota dell’Anno al nostro moderno calendario, la prima festa che incontriamo cade l’1 febbraio.

Presso i Celti l’1 febbraio era Imbolc (pronuncia Immol’c) detta anche Oimelc o Imbolg. L’etimologia della parola è controversa ma i significati rinviano tutti al senso profondo di questa festa. Infatti Imbolc pare derivare da Imb-folc, cioè “grande pioggia’ e in molte località dei paesi celtici questa data è chiamata anche “Festa della Pioggia”: ciò può riferirsi ai mutamenti climatici della stagione ma anche all’idea di una lustrazione che purifica dalle impurità invernali.
Invece Oimelc significa “lattazione delle pecore” mentre Imbolg vorrebbe dire ‘nel sacco” inteso nel senso di “nel grembo” con riferimento simbolico al risveglio della Natura nel grembo della Madre Terra e con un riferimento più materiale agli agnelli, nuova fonte di cibo e di ricchezza, che la previdenza della Natura e degli allevatori avrebbe fatto nascere all’inizio della buona stagione.
L’allattamento degli agnelli garantiva un rifornimento provvidenziale di proteine. Il nuovo latte, il burro, il formaggio costituivano spesso la differenza tra la vita e la morte per bambini e anziani nei freddi giorni di febbraio.

Imbolc è una delle quattro feste celtiche, dette “feste del fuoco” perché l’accensione rituale di fuochi e falò ne costituiscono una caratteristica essenziale. In questa ricorrenza il fuoco è però considerato sotto il suo aspetto di luce, questo è infatti il periodo della luce crescente. Gli antichi Celti, consapevoli dei sottili mutamenti di stagione come tutte le genti del passato, celebravano in maniera adeguata questo tempo di risveglio della Natura. Non vi erano grandi celebrazioni tribali in questo buio e freddo periodo dell’anno, tuttavia le donne dei villaggi si radunavano per celebrare insieme la Dea della Luce (le celebrazioni iniziavano la vigilia, perché per i Celti ogni giorno iniziava all’imbrunire del giorno precedente).

Brigid
Nell’Europa celtica era infatti onorata Brigit (conosciuta anche come Brighid o Brigantia), dea del triplice fuoco; infatti era la patrona dei fabbri, dei poeti e dei guaritori. Il suo nome deriva dalla radice “breo” (fuoco): il fuoco della fucina si univa a quello dell’ispirazione artistica e dell’energia guaritrice.
Brigit, figlia del Grande Dio Dagda e controparte celtica di Athena-Minerva, è la conservatrice della tradizione, perché per gli antichi Celti la poesia era un’arte sacra che trascendeva la semplice composizione di versi e diventava magia, rito, personificazione della memoria ancestrale delle popolazioni.

La capacità di lavorare i metalli era ritenuta anche essa una professione magica e le figure di fabbri semi-divini si stagliano nelle mitologie non solo europee ma anche extra-europee; l’alchimia medievale fu l’ultima espressione tradizionale di questa concezione sacra della metallurgia.

Sotto l’egida di Brigit erano anche i misteri druidici della guarigione, e di questo sono testimonianza le numerose “sorgenti di Brigit”. Diffuse un po’ ovunque nelle Isole Britanniche, alcune di esse hanno preservato fino ad oggi numerose tradizioni circa le loro qualità guaritrici. Ancora oggi, ai rami degli alberi che sorgono nelle loro vicinanze, i contadini appendono strisce di stoffa o nastri a indicare le malattie da cui vogliono essere guariti.

Sacri a Brigit erano la ruota del filatoio, la coppa e lo specchio.
Lo specchio è strumento di divinazione e simboleggia l’immagine dell’Altro Mondo cui hanno accesso eroi e iniziati.
La ruota del filatoio è il centro ruotante del cosmo, il volgere della Ruota dell’Anno e anche la ruota che fila i fili delle nostre vite.
La coppa è il grembo della Dea da cui tutte le cose nascono.

Cristianizzata come Santa Bridget o Bride, come viene chiamata familiarmente in gaelico, essa venne ritenuta la miracolosa levatrice o madre adottiva di Gesù Cristo e la sua festa si celebra appunto l’1 febbraio, giorno di Santa Bridget o Là Fhéile Brfd.
Riguardo questa santa, di cui è tanto dubbia l’esistenza storica quanto certa la sua derivazione pagana, si diceva che avesse il potere di moltiplicare cibi e bevande per nutrire i poveri, potendo trasformare in birra perfino l’acqua in cui si lavava!
A Santa Bridget fu consacrato il monastero irlandese di Kildare, dove un fuoco in suo onore era mantenuto perpetuamente acceso da diciannove monache. Ogni suora a turno vegliava sul fuoco per un’intera giornata di un ciclo di venti giorni; quando giungeva il turno della diciannovesima suora ella doveva pronunciare la formula rituale “Bridget proteggi il tuo fuoco. Questa è la tua notte”. Il ventesimo giorno si diceva fosse la stessa Bridget a tenere miracolosamente acceso il fuoco. Il numero diciannove richiama il ciclo lunare metonico che si ripete identico ogni diciannove anni solari.
Inutile ricordare come questa usanza ricordasse il collegio delle Vestali che tenevano sempre acceso il sacro fuoco di vesta nell’antica Roma, ma più probabilmente la devozione delle suore di Kildare si ricollega alle Galliceniae, una leggendaria sorellanza di druidesse che sorvegliavano gelosamente il loro recinto sacro dall’intrusione degli uomini e i cui riti furono mantenuti attraverso molte generazioni.
Allo stesso modo, nel monastero di Kildare solo alle donne era concesso di entrare nel recinto dove bruciava il fuoco, che veniva tenuto acceso con mantici, come ricorda Geraldo di Cambria nel 120 secolo. Il fuoco bruciò ininterrottamente dal tempo della leggendaria fondazione del santuario, nel 60 secolo, fino al regno di Enrico VIII, quando la Riforma protestante pose fine a questa devozione più pagana che cattolica.

Riti tradizionali di Imbolc
I riti di Brigit celebrati a Imbolc ci sono stati tramandati dal folklore scozzese e irlandese.

Il letto di Bride
Nelle Isole Ebridi (che forse devono il loro nome proprio a Brigit o Bride) le donne dei villaggi si radunano insieme in qualche casa e fabbricano un’ immagine dell’antica Dea, la vestono di bianco e pongono un cristallo sulla posizione del cuore. In Scozia, la vigilia di Santa Bridget le donne vestono un fascio di spighe di avena con abiti femminili e lo depongono in una cesta, il “letto di Brid”, con a fianco un bastone di forma fallica. Poi esse gridano tre volte “Brid è venuta, Brid è benvenuta!”, indi lasciano bruciare torce e candele vicino al “letto” tutta la notte.
Se la mattina dopo trovano l’impronta del bastone nelle ceneri del focolare, ne traggono un presagio di prosperità per l’anno a venire. Il significato di questa usanza è chiaro: le donne preparano un luogo per accogliere la Dea e invitano allo stesso tempo il potere fecondante maschile a unirsi a lei. Anche nell’isola di Man veniva compiuta una cerimonia simile, chiamata Laa’l Breesley. Nell’Inghilterra del Nord, terra dell’antica Brigantia, la ricorrenza veniva denominata “Giorno delle Levatrici”.

La croce di Brigid
In Irlanda, si preparano con giunchi e rametti le cosiddette croci di Brigit, a quattro bracci uguali racchiusi in un cerchio, cioè la figura della ruota solare (che è simbolo appropriato per una divinità del fuoco e della luce); lo stesso giorno vengono bruciate le croci preparate l’anno prima e conservate fino ad allora.La fabbricazione delle croci di Brigit deriva forse da un’antica usanza precristiana collegata alla preparazione dei semi di grano per la semina.

Questi oggetti simbolici, confezionati con materiale vegetale, ci ricordano tra l’altro che la luce ed il calore sono indispensabili alla vegetazione che si rinnova in continuazione, anno dopo anno. Le spighe di avena (o grano, orzo, ecc.) usate per fabbricare le bambole di Brigit, provengono dall’ultimo covone del raccolto dell’anno precedente. Questo ultimo covone, in molte tradizioni europee è chiamato la Madre del Grano (o dell’Orzo, dell’Avena, ecc.) e la bambola propiziatoria confezionata con le sue spighe è la Fanciulla del Grano (o dell’Orzo, dell’Avena, ecc.).Si credeva cioè che lo spirito del cereale o la stessa Dea del Grano risiedesse nell’ultimo covone mietuto: come le spighe del vecchio raccolto sono il seme di quello successivo, così la vecchia divinità dell’autunno e dell’inverno si trasformava nella giovane Dea della primavera, in quella infinita catena di immortalità che è il ciclo di nascita, morte e rinascita. E Brigit rappresenta appunto la giovane Dea della primavera.

Una leggenda
Un antico codice irlandese, il Libro di Lisrnore, riporta una curiosa leggenda. Si narra che a Roma i ragazzi usavano giocare ad un gioco da tavolo in cui una vecchia megera liberava un drago mentre dall’altra parte una giovane fanciulla lasciava libero un agnello che sconfiggeva il drago. La megera allora scagliava un leone contro la fanciulla, la quale però provocava a sua volta una grandine che abbatteva il leone. Papa Bonifacio, dopo aver interrogato i ragazzi e aver saputo che il gioco era stato insegnato loro dalla Sibilla, lo proibì.
La megera non è altro che la Vecchia Dea dell’Inverno sconfitta dalla Giovane Dea della Primavera. Essendo questa leggenda stata raccolta in un ambito culturale celtico, si può supporre che la Vecchia altri non era che la Cailleach a cui si contrappone Brigit. Il riferimento all’agnello è un altro simbolo del periodo di Imbolc, anche se i commentatori medievali lo considerarono l’emblema di Gesù Cristo.
In realtà è la Vecchia Dea che si rinnova trasformandosi in Giovane Dea, così come il Vecchio Grano diviene il nuovo raccolto. I Carmina Gadelica, una raccolta di miti, proverbi e poemi gaelici di Scozia, raccolti e trascritti alla fine dell’800 dal folklorista scozzese Alexander Carmichael, riportano la seguente filastrocca:

“La mattina del Giorno di Bride
Il serpente uscirà fuori dalla tana
Non molesterò il serpente
Né il serpente molesterà me”

Il serpente appare come uno degli animali-totem di Brigit. In molte culture il serpente o drago è simbolo dello spirito della terra e delle forze naturali di crescita, decadimento e rinnovamento. Nel giorno di Bride il serpente si risveglia dal suo sonno invernale e i contadini ne traevano il presagio della fine imminente della cattiva stagione. Il serpente è uno dei molti aspetti dell’antica Dea della terra: la muta della sua pelle simboleggia il rinnovamento della Natura e anche la sua dualità Infatti in gaelico “neamh” (cielo) è simile a “naimh” (veleno), provenendo entrambi dalla radice “nem”. La Vecchia Dea e la Giovane Dea sono la stessa persona! (nelle fiabe l’eroe che coraggiosamente bacia una vecchia megera si ritrova di fronte una bellissima fanciulla…)

La Dea Februa
In un’altra area culturale europea, nell’antica Roma, i primi giorni di febbraio erano sacri alla dea Februa o a Giunone Februata. “Februare” in latino significa purificare, quindi febbraio è il mese delle purificazioni (anche la febbre è un modo di purificarsi usato dal nostro corpo!).
Processioni in onore di Februa percorrevano la città con fiaccole accese, simbolo di luce e allo stesso tempo, di purificazione.

La Candelora
Un’altra usanza, legata anche a rituali di fertilità erano i Lupercali: i Luperci, sacerdoti di Fauno, correvano per le strade vestiti solo con una pelle di capra e con una frusta (anche essa fabbricata con strisce di pelle di capra) con la quale battevano le giovani spose per propiziarne la fertilità (e quindi la capacità di partorire).
La Chiesa, per combattere queste usanze, istituì processioni con candele, alle quali a partire dall’11° secolo aggiunse la benedizione delle candele per gli altari. Col nome di Candelora o Candlemas (nei paesi anglosassoni) è nota la festa cristiana del 2 febbraio, denominata “Presentazione del Signore al Tempio”. Ma è evidente che la nuova religione non ha potuto modificare il significato autentico della festa, un significato che è profondamente incarnato nella Natura e nello spirito umano.
Il legame della festa con le candele, la purificazione e l’infanzia, sopravvisse nell’usanza medievale di condurre le donne in chiesa dopo il parto a portare candele accese.

L’idea di una purificazione rituale in questo periodo è rimasta forte nel folklore europeo. Ad esempio le decorazioni vegetali natalizie vengono messe da parte e bruciate alla Candelora per evitare che i folletti che in esse si sono nascosti infestino le case.

Il concetto di purificazione è presupposto di una nuova vita: si eliminano le impurità del passato per far posto alle cose nuove. Alcuni gruppi neopagani europei festeggiano Imbolc accendendo candele che sporgono da una bacinella di acqua. Il significato è quello della luce della nuova vita che emerge dalle acque del grembo materno, le acque lustrali di Imbolc che lavano via le scorie invernali. Un antico detto celtico ricordava come fosse una buona cosa lavarsi mani e viso a Imbolc!

La pianta sacra di Imbolc è il bucaneve. E’ il primo fiore dell’anno a sbocciare e il suo colore bianco ricorda allo stesso tempo la purezza della Giovane Dea e il latte che nutre gli agnelli.

Celebrare Imbolc
Fisicamente è opportuno praticare una dieta più leggera, dopo che i banchetti delle feste invernali e la forzata sedentarietà trascorsa al chiuso delle nostre case, hanno appesantito il nostro fisico. Possiamo anche decidere di fare una bella pulizia in casa! E’ utile purificare la nostra casa e il nostro corpo con il fumo dell’incenso: vanno benissimo anche i bastoncini di incenso profumati che si trovano ovunque in commercio. Scegliamo pure l’aroma che ci piace di più e lasciamo che il fumo sottile pulisca i nostri corpi energetici.

Psicologicamente è il momento di purificare la nostra mente dai cattivi pensieri e dai sentimenti inadeguati. Una bella pulizia mentale, che ci consenta di fare entrare in noi la luce della Natura rinnovata e di partecipare al risveglio del cosmo dalla lunga notte invernale.

Spiritualmente può essere utile la celebrazione di piccoli rituali legati ai simboli della festa.

Qui di seguito vengono proposti tre riti che possono essere eseguiti per celebrare Imbolc.

Accendere una candela
Un rituale molto semplice può essere quello di accendere una candela bianca (colore di purificazione) dicendo “Accendo la fiamma di Brigit per illuminare il cammino della mia vita”.
Si mediti per un po’ di tempo sui significati della festa: sul nostro bisogno di purificazione, sulla necessità di abbandonare cose e aspetti della nostra vita che non ci piacciono più, sulle nuove cose che vogliamo portare nelle nostre esistenze.
Poi si porti la candela accesa nelle varie stanze della nostra abitazione, facendo il giro degli ambienti in senso orario (magicamente è la direzione propizia, che porta energia). Alla fine si spenga la candela dicendo “Spengo la fiamma di Brigit per farla vivere in me” e si visualizzi la luce della candela che entra in noi.

Festeggiare Brigid in una famiglia
Se si vuole compiere qualcosa di più tradizionale, gli uomini possono uscire dopo l’imbrunire della vigilia di Imbolc, per andare a raccogliere un dono per Brigit (pietra, conchiglia, penna di uccello) da riportare in casa. Le donne invece possono trascorrere la vigilia di Imbolc pulendo la casa e immaginando di ramazzare via le energie morte dell’inverno: la Vecchia dell’Inverno è cacciata fuori dall’uscio di casa con la scopa.
Poi, sempre le donne, con rametti raccolti in precedenza preparano un letto per Brigit dove depongono una bambola fabbricata con spighe tenute da parte per l’occasione, e danno il benvenuto alla Dea accendendo una candela bianca e meditando sulla nuova vita che sta tornando.
Anche gli uomini, ritornati in casa con il dono per Brigit possono accendere una candela bianca e meditare sul ritorno della luce e della buona stagione.

Accendere tre candele
Un rituale invece più complesso, che possono eseguire tutti, consiste nel procurarsi tre candele (sempre di colore bianco!), e disporle in un triangolo, con la punta rivolta verso nord. Nel centro del triangolo così disposto si pone un calice di acqua (simbolo della purificazione) o di latte (simbolo del nutrimento della nuova vita).
Dopo un breve rilassamento, seduti o in piedi, ci si muove verso la candela a nord, la si accende e si dice “Signora dell’Inverno, ti dico addio, la tua stagione è terminata”. Si visualizzi il gelido potere dell’inverno che si allontana. Dopo avere sostato un po’, ci si sposta alla candela di sud-est, la si accende e si dice “Signora della Primavera, ti offro un caloroso benvenuto, la terra è il tuo letto”. Si visualizzi il gioioso potere della primavera che si avvicina. Dopo un po’ si va alla candela di sud-ovest, la si accende e si dice “Signora dell’Estate, presto io ti chiamerò e risveglierò il tuo amante”. Si visualizzi il potere ancora lontano della bella stagione, desideroso di nascere e pulsante di vita nel sottosuolo.
Quando ci si sente pronti, si va al centro del triangolo, si raccoglie il calice e si dice “Io bevo il potere della Triplice Dea. Possa questo potere diffondersi su tutta la terra per segnare la nascita della primavera”. Si beve dal calice e si immagina il potere che fluisce in noi, attraverso di noi per risvegliare la Natura. A questo punto si può inserire qualche usanza ricordata in precedenza, cioè la fabbricazione del letto di Brigit o l’arsione delle decorazione vegetali delle feste invernali. Oppure si può semplicemente concludere la cerimonia andando a ciascuna delle candele, nell’ordine in cui sono state accese: si spengono dicendo mentalmente o ad alta voce “Va’ fuoco e caccia l’inverno, riscalda la terra e risveglia la primavera”. Ovviamente in tutti questi piccoli rituali le parole delle formule possono essere adattate e se lo desideriamo, possiamo utilizzare brevi frasi che noi stessi avremo composto, secondo le nostre capacità e la nostra sensibilità.

Tratto da: Roberto Fattore. Feste Pagane,
scaricabile all’indirizzo www.artewicca.it/zipfile/Ruota%20dell’anno.doc

 

Immagine tratta dalla pagina http://usuarios.lycos.es/ynisvitrin/rueda.htm

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Normandia : Mont Saint-Michel

 

Continua il nostro viaggio sulla linea chiamata “Asse di San Michele”.  Dopo la Grotta di San Michele nel Gargano, parliamo di Mont Saint-Michel, l’isola sulla costa della Normandia famosa per la sua abbazia dedicata a San Michele

La seguente descrizione è estrata da Wikipedia:

http://it.wikipedia.org/wiki/Mont_Saint-Michel

Il Mont Saint-Michel (letteralmente “Monte San Michele”) è un isolotto roccioso situato presso la costa settentrionale della Francia, dove sfocia il fiume Couesnon.

Sull’isolotto venne costruito un santuario in onore di San Michele Arcangelo, il cui nome originario era Mons Sancti Michaeli in periculo mari (in latino) o Mont Saint-Michel au péril de la mer (in francese: in italiano, letteralmente, “Monte San Michele al pericolo del mare”).

Attualmente il Mont Saint-Michel costituisce il centro naturale del comune di Le Mont-Saint-Michel (dipartimento della Manica, regione amministrativa della Bassa Normandia appartenente al comune di Pontorson). Un trattino permette di differenziare tra il comune e l’isolotto: secondo la nomenclatura ufficiale dell’INSEE l’unità amministrativa si chiama (Le) Mont-Saint-Michel, mentre l’isolotto è chiamato Mont Saint-Michel.

La notevole architettura del santuario e la baia nel quale l’isolotto sorge con le sue maree ne fanno il sito turistico più frequentato della Normandia e uno dei primi dell’intera Francia, con circa 3.200.000 visitatori ogni anno. Numerosi immobili che vi sorgono sono individualmente classificati come monumenti storici e l’intero sito è nel suo insieme classificato come tale dal 1862. Dal 1979 fa parte dei Patrimoni mondiali dell’umanità dell’UNESCO.

L’abbazia benedettina

I conti di Rouen, poi duchi di Normandia dotarono riccamente i religiosi che le precedenti incursioni dei Normanni avevano fatto fuggire. Il Mont Saint-Michel aveva inoltre acquisito valore strategico con l’annessione al ducato di Normandia della penisola del Cotentin nel 933, venendosi a trovare al confine con il ducato di Bretagna.

Il duca Riccardo I (943-996) nel corso dei suoi pellegrinaggi al santuario rimase indignato dal lassismo dei canonici, che delegavano il culto a clerici salariati, e ottenne dal papa Giovanni XIII una bolla che gli dava l’autorità di riportare l’ordine nel monastero e fondò una nuova abbazia benedettina nel 966, con monaci provenienti da Saint Wandrille (abbazia di Fontenelle).

La ricchezza e la potenza di questa abbazia e il suo prestigio come centro di pellegrinaggio durarono fino al periodo della riforma protestante. Un villaggio si sviluppò ai piedi del santuario per dare accoglienza ai pellegrini. L’abbazia continuò a ricevere doni dai duchi di Normandia e quindi dai re di Francia.

Durante la guerra dei cent’anni l’abbazia si fortificò contro gli inglesi con una nuova cinta muraria che circondò anche la cittadina sottostante.

A partire dal 1523 l’abate fu nominato direttamente dal re di Francia e fu spesso un laico che godeva delle rendite abbaziali. Nell’abbazia fu installata una prigione e il monastero si spopolò, anche in seguito alle guerre di religione. Nel 1622 il monastero passò ai benedettini della congregazione di San Mauro (mauristi) che fondarono una scuola, ma si occuparono poco della manutenzione degli edifici.

Le volte gotiche della Sala dei Cavalieri nell’abbazia.

Il chiostro de La Merveille.

La parete finestrata del Refettorio.

L’abbandono e la rinascita dopo la rivoluzione francese

Nel 1791, in seguito alla rivoluzione francese gli ultimi monaci furono cacciati dall’abbazia, che divenne una prigione: vi furono incarcerati a partire dal 1793 più di 300 sacerdoti che rifiutavano la nuova costituzione civile del clero.

Nel 1794 un dispositivo telegrafico ottico (sistema di Chappe), fu installato sulla sommità del campanile e il Mont Saint Michel fu inserito nella linea telegrafica tra Parigi e Brest.

L’architetto Eugène Viollet-le-Duc visitò la prigione nel 1835. In seguito alle proteste per la detenzione dei socialisti Martin Bernard, Armand Barbès e Auguste Blanqui, la prigione fu chiusa nel 1863 per decreto imperiale. L’abbazia passò quindi sotto il vescovo di Coutances. In occasione del millenario della fondazione, nel 1966, una piccola comunità monastica si è nuovamente insediata nell’abbazia.

L’abbazia

Sezione dell’abbazia nel 1875.

Pianta del primo livello (Sala dell’Aquilone).

Pianta del secondo livello.

Pianta del terzo livello (chiesa abbaziale e chiostro della Merveille).

L’abbazia benedettina fu edificata a partire dal X secolo con parti giustapposte che si sono sovrapposte le une alle altre negli stili che vanno dal carolingio al romanico al gotico flamboyant. I diversi edifici necessari alle attività del monastero benedettino sono stati inseriti nello spazio angusto a disposizione.

L’insieme della Merveille, situato immediatamente a nord della chiesa abbaziale, comprende il chiostro, il refettorio, una sala di lavoro e l’elemosineria con dispensa, esempio di integrazione funzionale. Allo stesso modo le costruzioni della Belle-Chaise e degli alloggiamenti integrano le funzioni amministrative dell’abbazia con le funzioni cultuali.

Notre-Dame Sous-Terre

La primitiva chiesa abbaziale, costruita al momento della fondazione benedettina nel 966, fu in seguito interamente inglobata nei successivi ingrandimenti dell’abbazia. Altre costruzioni abbaziali sorsero ad est della chiesa originaria, sulla sommità della roccia e ad un livello superiore.

Questa chiesa originaria arrivò ad essere del tutto dimenticata, fino alla riscoperta ad opera di scavi effettuati tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo. Oggi, restaurata, offre un esempio di architettura pre-romanica.

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Libellus Magicus: il libro degli incantesimi dei gesuiti

 

Un interessante raccolta di incantesimi e scongiuri in un antico grimorio gesuita.

Trascrivo qui l’introduzione all’opera, e allego il link al pdf del volume tradotto in inglese da Herbert Irwin nel 1875.

Containing

Most powerful charges and Conjurations for all Evil Spirits of whatever State – Condition or office they are

And a Most powerful and approved conjuration of the Spirit Usiel

To which is added Cyrprians [Cyprians] Invocation of Angels

And his Conjuration of the Spirits Guarding

hidden treasure – together with a form for their dismissal

Paris 1508

Translated from the Latin by Herbert Irwin – 1875

http://www.hermetics.org/pdf/grimoire/Libellusjesuitus.pdf

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L’Arcangelo Michael: il mito, la leggenda e il culto

 

L’Arcangelo Michele ha sempre rivestito un ruolo eccezionale nel culto cristiano. Sia come protettore che come guerriero di Dio, la sua figura ha ispirato la costruzione di molte chiese e santuari, tanto da essere considerato uno tra i maggiori difensori della fede cristiana.

Riporto qui un bell’articolo dal sito:

http://www.angelologia.it/arcangeli.htm

La predilezione degli umani nei confronti di Michael, divenuto per tutti San Michele Arcangelo, è dovuta al fatto che gli viene attribuito uno dei compiti più importanti: quello della lotta contro le Forze del Male. Per questo, è familiarmente raffigurato con la corazza e la spada di un guerriero nell’atto di calpestare e dunque sconfiggere Satana, rappresentato sotto forma di serpe o drago.
La sua spada fiammeggiante, naturalmente, ha valore simbolico: con essa, non solo trafigge il drago ma squarcia il buio, sconfigge le tenebre e riporta ai suoi protetti il conforto della Luce. Egli è dunque il protettore dalle insidie che provengono dalle forze oscure, è la roccaforte della Luce, il baluardo nei confronti delle tenebre. Il suo è il ruolo centrale di capo delle armate Celesti, il vincitore della Bestia, il vincitore per eccellenza di tutte le battaglie.
Questo suo aspetto di guerriero vittorioso ed invulnerabile gli assicurerà il grande favore da parte di tutti gli eserciti, dei soldati e dei regnanti di tutte le epoche. Infatti, già nel 313 l’imperatore Costantino gli tributa un intenso culto. Personaggio piuttosto dubbio, Costantino fu un feroce massacratore di Cristiani; si ravvide dopo aver avuto una grande visione. Una croce fiammeggiante gli apparve in cielo con una scritta: “In hoc signo vinces”, (con questo segno vincerai). Stava infatti per scendere in battaglia contro l’esercito dell’imperatore Massenzio: la tradizione vuole che ciò accadesse alle pendici del monte Musinè. Dimenticando l’odio con cui ha martorizzato tanti cristiani proprio in nome di quella croce, decide di accettare il consiglio del cielo. Fa contrassegnare con la croce tutte le armi, i carri e gli stendardi e, com’era prevedibile, vincerà la battaglia. Toccato nel vivo, Costantino ordina immediatamente che cessino le persecuzioni contro i cristiani, viene catechizzato e fa costruire, tra l’altro, un grande santuario a Costantinopoli tutto dedicato all’Arcangelo, il Micheleion, ponendo la città sotto alla sua celeste protezione. In seguito, furono ben quindici le chiese della città costruite in onore di Michele. Dal mondo bizantino, il culto dell’Arcangelo Michele dilaga rapidamente ovunque, diffuso soprattutto dalla popolarità che gode fra i soldati.
Nel 490 in Italia inizia una serie di eventi miracolosi nel Gargano che culminerà con l’apparizione dell’Arcangelo all’arcivescovo Lorenzo di Siponto. Chiede che gli venga costruito un santuario in una grotta inaccessibile. E’ molto esplicito:
Io sono l’Arcangelo Michele e sto sempre alla presenza di Dio. La caverna è a me sacra, è una mia scelta; io stesso ne sono il vigile custode… Là dove si spalanca la roccia i peccati degli uomini verranno perdonati… Quello che qui verrà chiesto con la preghiera, qui verrà esaudito.
Ma l’impresa è ardua, quella caverna è collocata in una posizione veramente impossibile per costruirci dentro. Il vescovo temporeggia, l’Angelo no. Tre anni dopo, Michele torna a riapparire, insiste. Avvisa che quel luogo è stato consacrato da lui stesso, che i culti possono iniziare senza aspettare oltre. Monsignore si reca nella grotta e, con suo grande stupore, trova un altare di marmo già pronto, ricoperto da un velo rosso “disceso dal cielo”. Sul blocco di marmo è impressa l’orma dei piedi dell’Angelo. Il luogo viene denominato “la Celeste Basilica” e i culti iniziano immediatamente. A tutt’oggi Monte sant’Angelo sul Gargano è meta di continui pellegrinaggi, dettati da una grandissima devozione.
Altre grotte saranno consacrate dall’Arcangelo, altre basiliche saranno costruite in suo nome e altri potenti lo invocheranno a protezione dei propri regni o nelle battaglie: Michael giunge dunque fino a noi conservando intatte le sue prerogative di Principe delle Milizie Celesti, Guerriero e Difensore della Luce.

Per tutte le citazioni bibliche riferite all’Arcangelo Michele
seleziona il seguente collegamento al sito www.intratext.com.

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Altri link interessanti sulla figura dell’Arcangelo Michele:

Alghero: apparizione di S.Michele http://www.alghero.org/main/san1.htm

Un sito dedicato alle apparizioni: http://www.abbazie.com/sanmichelearcangelo/apparizioni_it.html

Un sito dedicato alla canalizzazione dei messaggi dell’Arcangelo: http://www.stazioneceleste.it/arcangel.htm

Il sito della Milizia di San Michele Arcangelo : http://www.miliziadisanmichelearcangelo.org/

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Francesco Lamendola: Quando l’anima compie un salto evolutivo

Tratto da Arianna Editrice, posto un bell’articolo di Francesco Lamendola.
L’anima, per nutrirsi, ha bisogno di assumere energia vitale, non tristezza e rancore.

di Francesco Lamendola – 03/01/2011

Fonte: Arianna Editrice [scheda fonte]



I materialisti non credono neppure che l’anima esista, dunque non lo sanno; ma anche molti di coloro i quali affermano di credervi, lo ignorano o se ne dimenticano: l’anima, per sostenersi, ha bisogno di cibo, esattamente come il corpo.
Ha bisogno di cibo spirituale, ovviamente: e tale cibo non può essere la tristezza né il rancore di cui, invece, molte persone si nutrono quotidianamente, con grave danno della loro salute sia fisica, che emozionale.
I materialisti credono che basti nutrire il corpo di alimenti e di bevande, perché esso funzioni adeguatamente: e non sanno che non sono i cibi in se stessi, né le bevande, ma una forma di energia in essi presente, a conferire loro la funzione nutritiva: ciò che la cultura dell’India, da tempi immemorabili, chiama «prana», ossia l‘energia vitale presente e diffusa in tutto l’Universo, ivi compresa la luce solare.
Allo stesso modo, essi ignorano che il «prana» è presente, in abbondanza, nell’aria che respiriamo: solo che, mentre una respirazione consapevole permette di assimilarne la massima quantità, con immenso beneficio dell’organismo, una respirazione erronea e insufficiente, perché inconsapevole, ne lascia passare all’organismo solo una quantità minima.
Poiché il «prana» è presente ovunque, ma non si può vedere, né misurare, né pesare, allora la scienza materialista degli Occidentali si rifiuta di credere alla sua esistenza; e lo stesso discorso si può fare a proposito dell’anima.
Cos’è l’anima?
Dov’è?
Se esiste, perché non se ne possono addurre le prove?
A dispetto di tale scetticismo, l’anima esiste e non coincide con la mente: la mente è una delle funzioni dell’anima; e neppure la mente, sia detto per inciso, ha bisogno, per esistere, del corpo: il corpo ne è solo un sostegno temporaneo, dal quale essa può spiccare il volo in qualunque momento, a determinate condizioni.
La mente può esistere anche al di fuori del corpo e anche senza il corpo; può esistere anche dopo che il corpo ha terminato di svolgere il suo compito ed è stato da essa abbandonato, come un guscio ormai vuoto sulla riva del mare.
Ma l’anima è più della mente: l’anima è una scintilla della realtà cosmica e in essa non vi sono un prima e un poi, un dentro e un fuori: tutto è dentro di essa ed essa è presente ovunque; esisteva prima che il mondo fosse creato e continuerà ad esistere anche dopo: eterna, indistruttibile, splendente come infiniti soli.
Ma l’anima, il più delle volte, non è consapevole di se stessa; non è consapevole di essere eterna, non è consapevole di essere una scintilla divina. Perciò, pur essendo incorruttibile, di fatto anch’essa può ammalarsi e deperire, esattamente come il corpo.
Quali sono gli alimenti di cui ha bisogno, per mantenersi in armonia con il corpo al quale si è temporaneamente unita?
Non certo la tristezza e il rancore, in cui vivono sprofondati così tanti esseri umani; ma l’energia vitale che le proviene dall’Essere, di cui è parte, dal quale proviene e al quale aspira inconsapevolmente a ritornare.
Tutto il problema, pertanto, si riduce a sapere come si possa abbeverare la propria anima alle sorgenti dell’energia vitale proveniente dall’Essere, «fontana vivace» – come direbbe Dante – incomparabile ed inesauribile di tutto ciò che essa potrebbe desiderare.
Ebbene, il cibo fondamentale dell’anima è la preghiera; o, se si vuole chiamarla in altro modo, la meditazione: come si preferisce, il concetto non cambia. Essa deve abituarsi a parlare quotidianamente con la scintilla divina che è in lei, che è ella stessa; deve ritrovare e costantemente rinnovare il contatto consapevole con l’Essere, al quale è sempre unita, ma che troppo spesso tende a ignorare o dimenticare.
Quando l‘anima si unisce all’Essere nella comunicazione profonda all’interno di se stessa, avviene qualche cosa di simile a quando l’adepto dello Hatha Yoga congiunge le piante dei piedi e chiude le punte delle dita: si crea un circuito virtuoso, potente, vittorioso, irraggiante forza, luce e bellezza e capace di rigenerare tutte le energie perdute.
Immensa e praticamente inesauribile è la forza dell’anima, quando essa prende consapevolezza della sua vera natura, della sua origine, del suo destino; quando si rivolge gioiosamente e fiduciosamente allo splendore dell’Essere, scavalcando d’un balzo tutte le difficoltà che, un momento prima, la facevano tremare e impallidire.
Non è forse stato detto che, per mezzo della preghiera, noi possiamo comandare perfino alle montagne e ordinare loro di spostarsi e di gettarsi nel mare?
Non è forse stato detto che basta chiedere, ma chiedere con fede autentica, per trovare tutto ciò di cui abbiamo bisogno?
Si faccia bene attenzione all’ultima parte della frase precedente: «tutto ciò di cui abbiamo bisogno»: perché l’anima, quando è smarrita e sviata, crede di aver bisogno di mille cose, d’infinite cose; ma di una sola ha realmente bisogno: dell’armonia con se stessa e con l’Essere, che poi sono una sola e medesima cosa.
L’anima non può essere veramente in armonia con se stessa, se non si pone in armonia con l’Essere: tale è il suo destino, la sua vocazione, la sua chiamata. Finché si allontana dall’Essere e si disperde lungo strade diverse, non troverà mai la pace e l’armonia con se stessa, perché essa è fuori dal proprio centro, è fuori dalla propria natura.
La natura dell’anima è l’unione con l’Essere: ogni passo che l’avvicina a questa meta le porta pace e benessere, perché realizza la sua vocazione ontologica fondamentale; ogni passo che l’allontana, anche se – apparentemente – può consentirle una fugace soddisfazione, finirà per causarle sofferenza e malessere.
Ma l’anima non è fatta per soffrire, bensì per gioire; se soffre, ciò avviene perché si tiene lontana dall’Essere, a causa del velo dell’ignoranza.
Ecco allora che il nostro compito è quello di lavorare affinché il velo dell’ignoranza si dissolva e la luce dell’Essere appaia, sfolgorante, come in un chiaro mattino di sole, quando i vetri di mille finestre riflettono, incendiandosi, il suo incomparabile splendore.
In fondo, è il compito della nostra vita; come lo studente si affatica sui libri per superare gli esami, così anche noi, tutti senza eccezione, siamo chiamati a svolgere un compito: che non è quello di fare questa o quella cosa, di aver successo negli affari o nel mondo della politica; e neppure quello di metter su famiglia, per quanto alcune delle cose che facciamo siano buone e lodevoli, ma a patto di non assolutizzarle e di non scambiarle per la nostra vocazione ultima.
La nostra vocazione ultima, che coincide con il nostro compito, è di riscoprire la nostra origine divina, la nostra parte luminosa e incorruttibile, ossia il legame perenne della nostra anima con l’Essere perfetto e luminosa dal quale tutto trae origine.
Quando noi incominciamo a intravedere questa verità, ecco che la nostra anima inizia a respirare a pieni polmoni e a nutrirsi di cibi che la sfamano e di bevande che la dissetano;.
Tutto il resto non è che illusione dei sensi e intorbidamento delle passioni.
Tutto il resto non è che attardarsi lungo sentieri sbagliati, che ci seducono sul principio, ma non ci porteranno mai da nessuna parte.
È incredibile come ci sfugga così facilmente una verità tanto semplice: che fin quando l’anima si alimenta di energia vitale, le sue possibilità si moltiplicano ed essa diviene capace di compiere qualsiasi impresa; mentre, se si nutre solo di energie negative, essa finisce per sgomentarsi e per ammalarsi.
Mentre sto scrivendo queste righe, dalla finestra posso vedere la fitta coltre di nuvole cariche di pioggia, che da giorni e giorni stagnavano sui monti e li sottraevano allo sguardo, mentre incomincia a rompersi e a disperdersi.
Banchi di nubi sfilacciate ristagnano sui fianchi della montagna di fronte a me, disegnando una fitta trama di arabeschi evanescenti, dai quali emergono le ombre scure dei boschi inzuppati di pioggia e le cime dei colli, in primo piano, simili a dei giganti che, risvegliandosi, levano il capo verso l’alto, spezzando l’assedio di quella  bianca coltre.
Le larghe macchie di neve, raccolta sulle radure e nei canaloni di roccia, si confondono con il candore delle nuvole sparse e disegnano un paesaggio dalla geografia fantastica, ove il confine tra il certo e l’incerto tende a sfumare e a scomparire.
È un processo molto lento, che dura alcune ore. A lungo indugiano le nubi sulle cime dei colli e lungo i fianchi del monte; pare che non se ne vogliano andare, che si aggrappino con ostinazione alle pietre e alle cime degli alberi, affinché il vento non le trascini via.
Solo dopo una lunga battaglia, vinti, gli ultimi brandelli soffici si alzano e scompaiono, mentre una corona ritardataria ancora indugia sul versante più basso della montagna, quando già un pallidissimo e fuggevole raggio di Sole pare far capolino presso la vetta.
Allo stesso modo, mano a mano che l’anima acquista consapevolezza, si dirada la nebbia degli errori e delle false immagini di bene, lasciando sgombro il paesaggio e nitide le ombre, come rinnovate da una possente ondata di vitalità.
Essenziale è il linguaggio del’anima, una volta che essa abbia intravista la giusta via da seguire; come quello di un «haiku» giapponese, ossia un componimento poetico composto da tre versi di cinque, sette e ancora cinque sillabe.
Ad esempio questo, di Miura Chora (1729-80):

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«sulle sere serene
e i giorni silenziosi,
piogge di primavera».

Oppure quest’altro, sempre di Miura Chora:

«in questo giorno
che tramonta
sono caduti i fuori di ciliegio».

Pochissimi versi di estrema brevità: densi, perfetti: che altro c’è da dire, da aggiungere, da abbellire?
Tale è la voce dell’anima, quand’essa ristabilisce il contatto con l’Essere: nitida, cristallina, essenziale, senza il benché minimo fronzolo.
Nel silenzio denso di verità, non c’è bisogno di tante parole.
Lo sanno da sempre, con sicuro istinto, gli innamorati; e tale è anche la condizione dell’anima, una volta che abbia ritrovato le vie dell’Essere: amore e soltanto amore.
Ecco perché non vi è più posto per la tristezza né per il rancore, allorché l’anima abbia ritrovato la scintilla divina che giace al fondo di lei stessa; ma solo per una cascata di luce che trasfigura ogni cosa, inondandola di pace e di bellezza.
Quando l’anima si accende d’amore per l’Essere, una grande pace la invade e la trasfigura.
Tutto il resto, a quel punto, diventa secondario: essa ha ritrovato la sua casa, il suo scopo, la sua verità definitiva, al di là di ogni incertezza e di ogni turbamento.

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