Kick-Ass: poco super, poco eroi.

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Un’invasione. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un’onda anomala di film con protagonisti individui mascherati, mal vestiti, con strani poteri e grandi crisi esistenziali. Gemme rare (poche) e ciofeche (molte), discreti action-movie, spesso buoni solo se accompagnati dai classici birra + patatine. Al di là della qualità, il supereroe al cinema rende, se ne sono accorti lì sulle verdi colline hollywoodiane; basti guardare quante uscite sono previste a breve (Thor, Capitan America, Green Lantern, i Vendicatori, l’ennesimo Superman, l’ennesimo Batman, il reboot di Spider-man…). Il pubblico medio cinematografico ha bisogno di sentirsi protetto? O è la narcisistica necessità di impersonificazione con versioni superomistiche dell’Io? O sono le sexy tutine attillate delle varie Tempesta, Catwoman, Elektra? (io, per la cronaca, voto per la terza opzione). Non sono qui ad analizzare il fenomeno, nossignori; sono qui ad offrirvi una medicina.

Stanchi delle boriose crisi d’identità di Batman? Arcistufi del buonismo patriottico dell’Uomo Ragno? Annoiati dai moralismi liberal degli X-Men? Kick-Ass è ciò che ci vuole! Uscito con colpevole ritardo di un anno nelle sale italiane, Kick-Ass ribalta le regole del superhero-movie (certamente con più convinzione di quanto tentato da Will Smith e il suo Hancock) e fa respirare aria buona: sangue, sboccataggine, demenza, violenza, scorrettezza e via così.

In breve: giovane sfigato appassionato di fumetti si mette un ridicolo costume addosso e comincia a scorrazzare per la città, menando e facendosi menare. Inciampa in un’improbabile coppia padre-figlia di giustizieri mascherati (Big Daddy e Hit-Girl) ed attira le poco raccomandabili attenzioni di un boss della mala. Poco altro da sapere sulla trama. Da qui è un crescendo di botte da orbi, parolacce, situazioni surreali e demenziali. Attenzione però a non scambiare Kick-Ass per una parodia: l’ironia feroce è usata in egual misura per oltraggiare ed omaggiare il mondo e le peculiarità del cinefumetto supereroistico; aspetti seri sono comunque affrontati, solo in modo meno ingessato e convenzionale. Come a dire, c’è una riflessione dietro, chi la vuol cogliere la colga, gli altri si godano le mazzate.

Laddove ogni supereroe che si rispetti indossa il costume spinto da un profondo senso di giustizia collettiva, in Kick-Ass chiunque si maschera lo fa per i motivi sbagliati: chi per rivalsa, chi per autoaffermazione, chi per vendetta e chi per semplice pazzia. La cosa bella -e naturale- è che è più facile empatizzare con queste versioni pervertite di supereroe che non con i vari Bruce Wayne o Peter Parker, prototipi umani banali e prevedibili, narrativamente aridi; l’affiatamento fra personaggi e spettatore ne guadagna notevolmente e ci si trova a parteggiare veramente (spesso e volentieri, ammettiamolo, il nostro tifo se lo guadagnano di più i supercattivi che non i superbuoni) con gli ”eroi” protagonisti , nonostante essi compiano impunite stragi splatter di criminali o siano mossi da sentimenti poco nobili.

Il regista Matthew Vaughn sa certamente il fatto suo. Kick-Ass ha un ritmo invidiabile, nessun calo di tensione e sa equilibrare al bacio azione e divertimento, serietà e comicità. Sì, perché se il ribaltamento delle convenzioni di genere avviene perfettamente è anche merito di un umorismo dosato e mai fine a sé stesso, anzi; finanche inquietante e sgradevole, a posteriori. Tutto è ambientato nel nostro normalissimo, noiosissimo mondo. Nessuno possiede superpoteri e tutti sono guidati solo dalle peggiori e più umane motivazioni materiali: questo contribuisce a diffondere, a ben vedere, un’atmosfera malsana, delirante e psicotica a tutta la vicenda. In particolare, il bizzarro nucleo familiare formato da Big Daddy e Hit-Girl sulle prime sembra l’elemento più parodistico della pellicola ma, poco a poco, si trasforma sottilmente in disturbante: sfonda i cancelli dell’intrattenimento e va a sfruculiare il lato oscuro, creando giuste riflessioni sul rapporto fra uomo e violenza e sulla legittimità della giustizia fai-da-te (argomento sempre scottante, non solo negli U.S.A.). Non si pensi dunque di andare al cinema a farsi quattro risate. O meglio, non solo.

Kick-Ass rompe delle regole, e già solo per questo andrebbe visto. In più, lo fa con intelligenza, (auto)ironia e grande rispetto ed amore verso il mondo del (cine)fumetto. Racchiude in sé molti aspetti senza essere frammentario o diseguale; prende il tocco autoriale del Cavaliere Oscuro e l’action scanzonata di Iron Man, la spettacolarità dell’Uomo Ragno e i drammi psicologici degli X-Men, l’eleganza di Watchmen e la sguaiataggine di Tank Girl. Ecco, prende tutti questi ingredienti e li fa a pezzetti. E con tutti questi pezzetti si diverte a creare una ricetta personale, arricchendola di aromi azzardati ma ben dosati; adatti, va detto, ai palati forti (e più in là si è spinto James Gunn, ex regista e sceneggiatore della Troma, girando Super, una variazione sul tema ancora più eccessiva. Un’altra pellicola per cui aspetteremo invano, temo). Tant’è. Gli appassionati di supereroi certamente perdoneranno (e sotto sotto apprezzeranno) questa trasgressione. I più acuti fra loro ne sapranno cogliere l’aspetto riflessivo senza scambiarlo per insultante. Tutti gli altri si godranno un bel film.

Ah. Ovviamente alla base di tutto c’è un fumetto. Si chiama (guarda un po’) Kick-Ass, è scritto da Mark Millar e disegnato da John Romita Jr., e per esso valgono le medesime raccomandazioni fatte per il film.

Matteo Pennacchia

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