Mompracen è un isola fortezza, nascosta nel web.
Mompracen è abitata dalle tigri della Malesia.
Sull’isola hanno trovato rifugio alcune persone, nel corso del tempo, che hanno costruito dei mondi a parte, dove si sono rifugiati, e dove possono ospitare coloro che giungono fin qui.
Ognuno di loro con il tempo si è costruito il suo mondo ideale.
Io immagino il mondo della percezione interiore come un panorama innevato, con il Fuji-Jama sullo sfondo, dove si medita in se-za.
A poca distanza delle piccole serre permettono di coltivare Bonsai, ed in fondo, proseguendo dritto, vi è un piccolo tempietto buddista, dove i pellegrini possono trovare spazio per riposare.
Un dojo ci permette di esercitare.
Infine si beve il te.
Ma tutto ciò è solo un aspetto del complesso sistema che l’inner space costruisce con l’ego – da un lato – e con la rete, dall’altro.
Nello stesso modo avrei potuto parlare dello spirito Rastafari, che unisce il calore interiore del corpo, l’energia che nasce dalla passione, con la visione, il ritmo e la musica.
Mompracen vuole essere un luogo in cui i naufraghi dell’onda mediatica ritrovino un momento di distanza dal mondo, e incontrino altri frammenti di realtà rotolati fin qui.
Rovine, frammenti, cocci. Sono ovunque i resti della realtà.
Certo non sono io che scriverò di debolezza e di relativismo, anzi, io penso, con Gaber, che “gli schiaffi di Dio appiccicano al muro, tutti”, e lo stesso vale per la realtà, che è tutt’altro che scomparsa, ma è sempre più velata dalle interferenze della trasmissione e della comunicazione.
Chiedete ai bambini di Gaza dov’è la realtà, vi indicheranno le cluster a grappolo.
Siamo noi che, come i passeggeri del Titanic, vediamo solo la cima dell’iceberg.
I Frammenti, appunto, le rovine.
Che fare, qui?
Morire lentamente, invece che di corsa.
Elaborare il lutto.
Spero di aver dato qualche spicciolo di felicità.
Certamente non ho visto la luce.