Una sera alla Scala

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Che cosa c’è di più milanese di una serata alla Scala?

L’aria è fredda ma non troppo. La ragazza e Martina sono in piedi da un po’, in coda aspettando un biglietto per il loggione. “La prossima volta mi metto le ballerine, altro che tacchi!”. Ma la ragazza lo sa che una serata alla Scala è sempre un’occasione speciale.

“Qual è il fascino particolare di questo teatro?” si chiede poco dopo, naso all’insù lungo le sale illuminate dai grandi lampadari, gli specchi e le scalinate decorate di rosso.

Dall’alto del loggione la visuale è completa: sulla platea, imbellettata a festa, sui palchi, più sobri, e sulle gallerie, variopinte di studenti e di ingressi a prezzi ridotti. Quando i primi accordi dell’orchestra si fanno strada nel brusio diffuso e la luce si abbassa, la ragazza e Martina sono ancora immerse nei loro commenti. “Ssssssss” le apostrofa una signora, binocolo alla mano. “Ssssssss” ribatte da dietro un uomo di mezza età. Si sa, i loggionisti sono severi e intransigenti.

Dopo un’ora di piroette, orchestra e vestiti di scena, è il momento del primo intervallo. Impossibile perdersi il foyer, spettacolo nello spettacolo. Un cameriere in livrea serve da bere a una bionda, intenta a travasare con un cucchiaino le arachidi da una coppetta alla sua mano sinistra, fasciata da un guanto di Gucci (etichetta in bella vista). Una coppia in abito da gran sera indugia al bancone. Una ragazza stretta in una stola di seta nera posa gli occhi curiosi sui vicini, alla ricerca di volti conosciuti (o più semplicemente “noti”?). “Ma questo sfoggio non sarà eccessivo? Non è certo l’inaugurazione!”. “E neppure una prima…”. Martina e la ragazza si allontanano dal bancone, fermandosi a metà dell’ampia sala rivestita di specchi.  Martina si dirige verso una finestra e guarda fuori la piazza, avvolta nella penombra e sfumata in una nebbiolina leggera.

“Qual è il fascino di questo teatro?” si domanda nuovamente la ragazza, osservando l’ampia sala. “Il suo fascino è la storia” si risponde poco dopo, mentre donne e uomini in carne ed ossa lasciano il posto ai fantasmi e alle note di epoche antiche.

Ora le sembra di vedere le ampie gonne dalle stoffe arricciate e le parrucche della prima inaugurazione, quella dell’anno 1778, sul palco i due atti de “L’Europa riconosciuta” di Salieri. Chissà se faceva caldo in quella sera di agosto…

Ma ecco arrivare altre donne leggere, avvolte in abiti stile impero, con linee lievi che cadono da un giro vita portato appena sotto il seno, offerto in scollature generose. Sono gli anni di Rossini, Donizetti, Bellini.

Quanti passi, quante vite per questi saloni. La Milano dei lumi. E quella romantica. E quella risorgimentale…

Ecco ora corpetti più lunghi, scolli castigati, gonne rotonde, cuffiette e mantelline ad affollare le sale di quella sera di marzo del 1842 in cui debutta il Nabucco di Giuseppe Verdi, e Milano si scopre appassionata alla causa dell’unità d’Italia.

Sono più strette e finalmente più corte le gonne che rivelano le caviglie affilate e i polpacci veloci delle milanesi degli anni Venti del Novecento, mentre risuonano le note di Wagner, cavallo di battaglia dell’epoca.

Ma ecco, spettrali, fare irruzione le ombre di quella notte di agosto del 1943, sotto i bombardamenti che feriscono a morte l’intera città e non risparmiano il suo teatro.

Sanno di libertà ritrovata e di speranza le voci e le mani accorse ad applaudire  il concerto con cui Toscanini nel 1946 celebra la riapertura del teatro e la rinascita dell’Italia intera.

E poi sono un po’ a palloncino le gonne e un po’ ad alveare le acconciature delle donne che negli anni Cinquanta discutono se sia migliore il gorgheggio della Callas o quello della Tebaldi. E poi…

“Ehi, andiamo, dai, hanno già abbassato le luci…”. Martina irrompe nelle sue fantasie fugando ogni antica presenza, mode passate e sinfonie. La ragazza si avvia con passo lento, pensando: “… e poi… adesso tocca a noi…”.

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