Porta sul buio

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La consacrazione di Dario Argento come maestro dei film “de paura” è avvenuta anche attraverso il piccolo schermo e questo spiega, senza volergli togliere nulla, la maggior popolarità rispetto ad altri registi cimentatisi con il genere.
La porta sul buio è un’altra di quelle introvabili serie televisive sino a poco tempo fa reperibili solo in Germania in un cofanetto “bootleg” con sottotitoli in tedesco e traccia audio italiana. Quattro telefilm concepiti secondo la formula della fortunata serie presentata da Alfred Hitchcock che resero popolare il volto di Argento al pubblico televisivo, identificandolo fisicamente come maestro della paura. Sui rapporti tra il cinema di Hitchcock e quello di Argento ( strombazzati dalle pubblicità dell’epoca) chi scrive nutre diverse riserve. Ci vorrebbe una trattazione specifica che esula dal presente saggio. Argento, di fatto, appariva brevemente prima di ogni episodio presentando la vicenda al pubblico, espediente questo riuscitissimo. Forse di più della serie televisiva che, probabilmente, fu sottoposta a vagli e censure che ne ridussero la potenzialità. Ma lo scopo ultimo era allargare il pubblico, non riproporgli esattamente i formidabili colpi al cuore dei film proiettati al cinema. Si racconta perfino che, nell’unico episodio da lui diretto, Argento avesse ricevuto il draconiano divieto di usare coltelli o altre lame per “commettere” i suoi omicidi. Non per scrupolo che le immagini potessero risultare troppo violente ma perché, si sa (sic!), il coltello, essendo un chiaro simbolo fallico, poteva turbare la mente dei benpensanti che assistevano allo spettacolo in prima serata. Tanto che nel telefilm intitolato Il Tram – un giallo abbastanza classico ulteriormente smussato dalla presenza di Enzo Cerusico, volto solitamente abbinato alla commedia – Argento armò il suo assassino con un gancio che, senza ombra di dubbio, costituisce un’arma ben più terrificante e micidiale di un “semplice” coltello. Non si tratta di capolavori ma di onesti spettacoli d’intrattenimento condensati in cinquanta minuti. Tra tutti il più riuscito è senza dubbio Il vicino di casa. Diretto da Luigi Cozzi, è una storia claustrofobica di una giovane coppia con neonato che trascorre la prima notte nella nuova casa, isolata e male attrezzata, scoprendo che il vicino ha appena ammazzato e sotterrato la moglie. L’uomo, un gigante silenzioso davvero terrificante, si accorge di essere stato visto e assedia i due coniugi. Riuscirebbe anche a eliminarli se, il mattino successivo, i vagiti del bambino non richiamassero l’attenzione degli operai del trasloco. Una trama semplice, svolta con grande capacità di evocare la tensione e, di sicuro, il capitolo più riuscito e sconvolgente della serie. Cozzi replicherà parzialmente la medesima situazione qualche anno dopo con il suo L’assassino è costretto a uccidere ancora(1975), un buon film ma che lo svolgimento più articolato priverà della compatta tensione del Vicino di casa. Furbescamente questo fu mandato in onda per primo. Il peggio ormai era passato, assicurava Argento, per cui gli altri telefilm potevano essere tranquillamente trasmessi. E così fu, senza eccezionali scalpori ma con il pieno raggiungimento del progetto iniziale. La consacrazione di Argento presso il grande pubblico come nuovo araldo “italiano” della paura.

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