Le nove code del gatto

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. Il gatto a nove code è del 1971 e svolge i temi emersi nell’Uccello… in maniera differente. È forse il thrilling meno amato dai fan di Argento e ben si capisce perché. La storia è più razionale, più classica e la presenza di Carl Malden e James Franciscus legano il film al poliziesco americano più di quanto in realtà non faccia la vicenda. Perché anche questa è una trama di follia omicida. Una serie di efferati delitti che hanno una loro motivazione scientifica (l’esistenza del famoso cromosoma doppio, fattore predisponente all’omicidio) ma che, di fatto, è un pretesto per le gesta di un maniaco disperato. La rosa dei sospetti, l’istituto medico sede di misteriosi esperimenti, la presenza sessualmente aggressiva di Caterine Spaak, la cecità del vecchio enigmista che nasconde un profondo acume… Anche qui tutte le carte sono in tavola ma Argento si diverte a giocare a modo suo. Gli omicidi (in particolare quello di Rada Rassimov) assumono una loro più marcata rappresentazione rituale. Di certo un film da riconsiderare e troppo frettolosamente giudicato un’opera minore del regista. Ancora una volta, forse per imposizioni distributive, l’estro di Argento è costretto a mascherare il groviglio di sensazioni e passioni del suo cinema dietro una struttura ordinata in cui tutto deve “tornare”. Forse, con il senno di poi, non un fattore totalmente negativo perché Il gatto a nove code è sicuramente uno dei più riusciti thrilling di quegli anni. E sulla sua italianità, nelle ambientazioni quanto nell’atmosfera, non c’è da sbagliarsi.

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17 Responses to Le nove code del gatto

  1. corrado artale says:

    E’ uno dei miei preferiti, pensa. Argento lo ha un po’ disconosciuto perchè lamentava il taglio troppo americano della narrazione, non intenzionale; a me piace proprio per quello. Hard-boiled più crudo di tanti suoi colleghi d’oltreoceano, per l’epoca (Ellroy non era ancora arrivato), l’inseguimento sui tetti nel finale è un’esplosione di violenza omerica difficilmente eguagliata, nell’ambito del giallo nostrano; e come dicevi tu, Steve, la sceneggiatura gioca con i canoni del genere, flirtando col gotico (la passeggiata notturna al cimitero) e inserendo per la prima volta l’elemento punitivo nei confronti dell’omicida, destinato a una fine peggiore delle sue vittime (elemento diventato il marchio di fabbrica del thrilling argentiano). E poi la sequenza dell’ascensore è una delle più spettacolari fra quelle girate da sor Darione.

    • ilprofessionista says:

      sono d’accordo con te ,anche seil mio preferito resta 4 mosche, questo era ottimo. la prima volta che lo vidi in effetti strideva un po’ con l’uccello dalle piume di cristallo che era più marcatamente italiano, poi rivedendolo mi piace ogni volta di più.la scena del latte avvelenato è costruita con una rara abilità nel gestire la suspense.

  2. mtetro says:

    Mi trovo d’accordo, pur considerando la prima trilogia argentiana più o meno a pari merito e preferendo, nel caso, Le quattro mosche. Certo qui Argento ha una (rara) predisposizione alla logica e alla coerenza, che poi perderà col tempo, affinando il suo stile più visionario e onirico. Mi piaceva proprio per la base scientifica, o parascientifica, su cui si dipana la narrazione (psicopatici come mutanti?). Il cast risponde bene, là dove Argento è sempre stato un pessimo direttore di attori.

    • ilprofessionista says:

      in effetti la Spaak qui fa paura(nel senso del pornotetro…). anche Franciscusè più in parteche al solito. Malden sempre un grandisismo. C’erano poi tanti altri come Horst Frank e Tino carraro veramente azzeccati e Aldo reggiani riusciva a conferire quell’aria ambigua con un sorriso disarmante. ce ne fossero di gialli così.

  3. corrado artale says:

    Vero, la sequenza del latte è molto hitchcockiana. E il delitto alla stazione è girato da Dio, anche se il fantoccio sulle rotaie è troppo posticcio. Diciamo che questo film si sforza di rimanere coi piedi per terra, Quattro mosche… scava già nel fantastico e nell’irrazionale, dimensione più congeniale all’ispirazione argentiana. Che raggiungerà il suo apice con Suspiria, estraneo ai sentieri del giallo.

    • ilprofessionista says:

      mi piacciono poi le ambientazioni in questa ‘ città di tutte le città’ che poi è abbastanza riconoscibile…

  4. corrado artale says:

    Sì, la Torino indefinita di Argento. Comunque non sono d’accordo sull’incapacità del regista di dirigere gli attori, anzi; spesso ha dovuto lottare con le unghie e coi denti con la tracotanza di alcuni interpreti, vedi Tony Musante. Che ne L’uccello… funziona da dio, indi aveva ragione Argento a imporgli determinate cose. Non a caso, l’attore con cui è andato d’accordo era proprio malden, un grande professionista che non amava venir preso poco sul serio quando lavorava (e argento raccontava aneddoti gustosi in merito).

  5. corrado artale says:

    Durante le riprese, c’era uno spirito decisamente goliardico. La parte ambientata al cimitero è stata teatro di scherzi di ogni genere e ne combinarono uno anche a Malden; mentre camminava in mezzo alle tombe, concentrato nella parte, spensero le luci all’improvviso. Dal buio echeggiò un infuriato “SHIT!” seguito da imprecazioni in Americano. Malden furibondo rientrò in albergo, non tollerava facezie quando lavorava. Argento fu costretto a raggiungerlo e a scusarsi. :)

  6. corrado artale says:

    Hum mi sa che sarebbero volate scintille, fra Tomasse e Darione…

  7. corrado artale says:

    E’ anche vero che ha lavorato con Fulci e non è che lui andasse tanto d’accordo, con gli attori…

  8. Fabio Lotti says:

    Questo duetto mica male…:)

  9. Fabio Lotti says:

    Allora senza entrare in sottigliezze di cui su questo argomento non sono capace (ma è corretta?), ti dirò che ho visto tutti i film di Dario Argento con quella tensione interna e quel piccolo brivido che mi procurano i lavori ben fatti.

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