Artisti maledetti: tre incontri alla biblioteca San Giorgio di Pistoia

ARTISTI MALEDETTI

 

UN PIZZICO DI ARTE E UNA SPRUZZATA DI GIALLO

 

CONFERENZE

con Siliano Simoncini

a cura di Giuseppe Previti e Maurizio Tuci

 

Gli incontri si terranno il mercoledì alle 17,00

nell’Auditorium Terzani della Biblioteca San Giorgio di Pistoia

- Mercoledì 28 Marzo “L’orecchio di Van Gogh”

- Mercoledì 4 aprile “Caravaggio, genio e sregolatezza”

- Mercoledì 11 aprile “Suonala ancora, Chet”

 

Storie, immagini, suoni, indagini, dedicate a tre grandi artisti

quali Vincent Van Gogh, Caravaggio, Chet Baker

 

Di certi artisti si pensa di sapere tutto ma poi basta rivedere le opere con un’altra ottica o riascoltare la loro musica, che riprende la voglia  di saperne di più.

Vincent Van Gogh, Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, Chet Baker: tre grandi nei loro campi artistici, ma anche tre personaggi singolari che potremmo accomunare sotto la comune etichetta di “artisti maledetti”.

 

 

Van Gogh, il “sublime pittore del sensibile”, “il pittore tragico”, molti lo ritennero un genio, altri un folle. Ma come morì?

 

Caravaggio, sicuramente uno dei più grandi pittori italiani: una pittura per alcuni ambigua e inafferrabile, per altri intrisa di “erotismo mistico”. Ma anche una vita turbolenta, contrassegnata da tre epiteti “Pittore, genio, assassino” e da una fine tragica.

 

 

                 

 

Chet Baker musicista dal volto d’angelo ma dalla vita dissoluta e turbolenta. La Toscana, e in particolare Lucca e la Versilia lo conobbero prima splendido interprete  delle sue fantastiche jamsession e, in seguito, fu spettatrice del suo triste decadimento.

 

Maurizio Tuci e Siliano Simoncini dal punto di vista dell’arte e Giuseppe Previti da quello biografico, ci intratterranno nel breve ciclo dedicato a tre degli “artisti maledetti”.

 

http://giallopistoia.blogspot.it/

 

http://www.sangiorgio.comune.pistoia.it/artisti-maledetti/2012-03-28?CalendarStart=2012-03-28&archivio=y

 

                

 

era il 13 maggio 1988 e Chesney Henry “Chet” Baker moriva in circostanze quanto meno strane. In questi vent’anni ancora nessuno è riuscito a spiegare il mistero della sua morte, né della sua esistenza. Né di quella sua arte fragilissima e meravigliosa

L’orecchio mozzato di Van Gogh si tinge di giallo

 

Martedì 5 Maggio 2009, 10:40 in Pazienti illustri, Pittura e arti visive di Emanuela Zerbinatti

 

 

Della vita di Van Gogh si pensava di sapere tutto. Restava certo la follia, incomprensibile nelle sue cause, ma una volta data per scontata quella, tutto il resto era abbastanza spiegabile, o almeno rientrava in una sua logica. Compreso quell’orecchio mozzato al culmine di un litigio per una prostituta con l’amico Gauguin. In fondo se uno è pazzo ci si può attendere che possa arrivare ad auto-mutilarsi come gesto dimostrativo.

E, infatti, per più di un secolo è prevalsa la tesi che fosse stato Van Gogh ad automutilarsi ad Arles nella notte del 23 dicembre 1888, dopo un litigio con Gauguin, e che quella ferita coperta da una benda in un autoritratto segnasse l’irrimediabile discesa verso la follia che sette mesi dopo avrebbe portato il maestro al suicidio. Nel più famoso film su Van Gogh, “Brama di vivere” del 1956, il Kirk Douglas-Vincent si mozza l’orecchio con un rasoio dopo aver discusso con Gauguin per divergenze artistiche.

A rovesciare improvvisamente questa ipotesi ci hanno pensato due studiosi tedeschi, Hans Kaufmann e Rita Wildegans, aprendo la strada a un inevitabile coro di polemiche. Dopo dieci anni di ricerche basate su rapporti della polizia, articoli di giornale dell’epoca e alcune testimonianze posteriori ai fatti, i due studiosi di Amburgo hanno affidato a un libro, L’orecchio di Van Gogh, Paul Gauguin e il patto del silenzio, una nuova ipotesi rivoluzionaria. Secondo loro, infatti, fu Paul Gauguin a mozzare l’orecchio sinistro di Vincent Van Gogh al culmine di un litigio davanti a un bordello “per una certa Rachel“, mettendosi poi d’accordo sulla versione dell’auto-mutilazione.

Un vero e proprio giallo sollevato da un’indagine alla “Cold case”.
La nuova ipotesi ripresa anche da Le Figaro, mette in discussione uno dei punti fermi sulla vita del grande pittore olandese. Che l’amicizia tra Van Gogh e Gauguin fosse stata molto travagliata non è in realtà una novità. È infatti noto che fu Van Gogh nel 1888, a convincere Gauguin ad andare ad Arles, nel sud della Francia, per vivere con lui nella casa gialla dove aveva istituito un “atelier del sud”, ma che dopo aver trascorso l’autunno insieme a dipingere le cose tra loro cominciarono a guastarsi sia per divergenze artistiche sia per la crescente aggressività di Vincent.
Poco prima di Natale, i due si allontanarono l’uno dall’altro e Van Gogh, rimase molto male quando Gauguin gli disse di volersene andare per sempre da Arles.

In un’intervista al Guardian Kaufmann ha detto che “quella famosa notte, a circa 300 metri dalla casa gialla, non vi fu un vero e proprio duello tra di loro: Vincent potrebbe aver attaccato l’amico e questi, che tra l’altro era un vero asso nella scherma, per difendersi da quel “pazzo fuori controllo”, gli avrebbe puntato contro la sua spada compiendo qualche movimento nella direzione di Vincent e tagliandogli poi l’orecchio sinistro“.
Per Kaufmann “non è ancora chiaro se si sia trattato di un incidente o di una precisa volontà da parte di Guaguin di colpirlo al volto“, ma sostiene che fu lo stesso Van Gogh a fare alcuni accenni nelle sue lunghe lettere al fratello Theo, arrivando pure a commentare una volta: “Per fortuna … Gauguin non è ancora dotato di mitragliatrici e altre pericolose armi da guerra“.
La nuova ipotesi, non convince comunque i curatori del museo di Van Gogh di Amsterdam che continuano, invece a sostenere la teoria dell’auto-mutilazione.

A questo punto però una domanda sorge spontanea: se il litigio e “l’incidente” non ci fossero mai stati, il destino di Van Gogh sarebbe stato diverso?
È possibile infatti pensare che un simile gesto da parte di quello che lui continuava a considerare amico possa aver fatto crollare il suo equilibrio psichico già compromesso, senza contare che la mutilazione da lui ritratta nel celebre dipinto con la benda a coprirgli l’orecchio non lascerebbe  indifferente alcuna persona.
In altri termini “il tradimento” e la grave alterazione dello schema corporeo in una mente già disturbata potrebbero aver precipitato la situazione portando Van Gogh al suicidio di sette mesi dopo l’incidente?

Purtroppo non credo che si potrà mai arrivare alla risposa a queste domande, ma è chiaro che la nuova ipotesi dei due ricercatori tedeschi trasformerebbe l’episodio dell’orecchio mozzato da una conseguenza dell’aggravarsi della malattia di Van Gogh a un più probabile fattore precipitante.

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