Semina il vento

Autore: Alessandro Perissinotto

Editore: Piemme

Anno: 2011 Pagine: 275

Recensione di Ivo Tiberio Ginevra

Semina il vento, l’ultimo romanzo di Alessandro Perissinotto, è una lucida analisi del nostro malessere di vivere le nuove trasformazioni della società in costante inesorabile movimento.

È l’oggettiva analisi di un malessere vissuto come sfida preconcetta al rifiuto del nuovo e del diverso.

È un’impietosa analisi esasperata dei concetti di tradizione, amore, gelosia, menzogna e religione, fusi in una sola, semplice parola: “Odio”. Odio nei confronti di ciò che non è uguale a noi.

Tahar Ben Jelloun nel suo saggio contro il razzismo conclude: “Non incontrerai mai due volti assolutamente identici. Non importa la bellezza o la bruttezza: queste sono cose relative. Ciascun volto è il simbolo della vita. E tutta la vita merita rispetto. È trattando gli altri con dignità che si guadagna il rispetto per se stessi“. Mi permetto di continuare indegnamente applicando la lezione di Jelloun… il rispetto, quello vero, quello che porta all’abbraccio della diversità mantenendo il proprio essere, è quello che parte dal rispetto stesso delle parole. All’attenzione delle parole che si usano, perché le parole sono pericolose. Sanno ferire, sanno umiliare, sanno discriminare, sanno insegnare l’odio. E dall’odio nasce l’unica cosa concepibile. L’unica figlia dominatrice incontrastata delle disgrazie umane: “La morte”.

Perissinotto è un maestro nel dipanare la tragedia dalla stilla delle parole, e riesce a caricarle d’ottusa preconcettualità, arroganza e miseria umana.

Nel romanzo l’autore si scaglia con forza magistrale contro i modi di dire e di fare. In particolare attacca un famoso proverbio: “Mogli e buoi dei paesi tuoi”, vissuto come anticamera dell’incomprensione il cui concetto generico alimenta il verme dell’intolleranza, che muta nell’ottusità dell’odio di tutti i personaggi dell’opera e che, inesorabilmente esplode nell’odio per odio.

È il protagonista Giacomo Musso, nella sua postuma analisi che precederà il suicidio, a suggerire nel “rispetto” la chiave per superare le diversità e la soluzione per rendere migliore il nostro futuro interrazziale. È proprio dall’esame dei suoi sbagli che dobbiamo capire il bisogno di indignarci al comportamento arrogante e razzista dell’ottuso potere e della complice indifferenza della gente. È dalla tragedia del protagonista che Perissinotto lancia il suo incitamento all’uso responsabile delle parole che generano indifferenza e odio. All’amore per la vita alla quale è dovuto il giusto rispetto. Al rispetto delle altrui dignità senza discriminazioni culturali o religiose, senza fare d’ogni cosa fanatismo, o gretta tradizione.

Questo romanzo è una memorabile lezione di vita.

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Intervista a Massimo Maugeri

Intervista all’autore di Viaggio all’alba del millennio

D: Dopo i romanzi Identità distorte e La coda di pesce che inseguiva l’amore, tutti si aspettavano un altro Thriller e invece è arrivato Viaggio all’alba del millennio. Qual è stata la molla che ti ha fatto scrivere questa raccolta di racconti? Cos’è scattato dentro a Maugeri scrittore?

R: Sentivo l’esigenza a provare a fare i conti con questo scorcio di inizio millennio, prendendo come punto di riferimento alcune situazioni e tentando di ritrarle… per poi zoomare su alcuni particolari. Mi è venuto in mente di provare a raccontare questo nostro tempo con storie brevi (partendo da due racconti che avevo già scritto), cercando di incrociarle. Ecco. La molla è stata questa.

D: Come definiresti questo romanzo?

R: Mi fa piacere che tu definisca Viaggio all’alba del millennio con l’appellativo di romanzo. In tanti, in effetti, mi hanno detto che le varie storie possono essere benissimo lette come i singoli capitoli di un’unica grande narrazione a largo respiro.  Venendo, dunque, alla tua domanda: come definirei questo libro? La prima parola che mi viene in mente è: “eclettico”… oppure “vario”. Ogni racconto – o capitolo – è diverso dall’altro per stile, linguaggio, approccio e punto di vista della narrazione. Ciò perché ho deciso di prestare “orecchio” e penna ai personaggi che si affastellavano nella mia testa, rispetto alle situazioni in cui si trovavano. Sentivo che ciascun personaggio e ciascuna situazione richiedevano di esser raccontati in maniera diversa. E così ho fatto.

D: Alla fine del libro troviamo una pagina dove si legge un passo di Le città invisibili di Italo Calvino: L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui; l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrire: il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio. Ci spieghi qual è il tuo inferno?

R: Amo molto Calvino. E credo che quel passo sia una delle più belle citazioni della letteratura del Novecento. Il mio inferno, o meglio la mia paura, è rischiare di rimanere invischiato nella prima delle due opzioni formulate da Calvino… che poi è quella più “facile”. Credo che da questo rischio non sia esente nessuno, soprattutto oggi… dal momento che viviamo in una società “accelerata” e mediaticamente “sotto assedio” dove il tempo per riflettere e per guardarsi dentro è sempre più esiguo. Nel momento in cui, però, smettiamo di riflettere e di guardarci dentro viene meno la possibilità di riconoscere quell’“inferno” a cui fa riferimento Calvino. E se non riconosci l’inferno, non puoi neppure riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno. È questo, il rischio.

D: Quanto c’è di Massimo Maugeri dentro Viaggio all’alba del millennio?

R: Tutto e niente, come spesso accade agli scrittori. I personaggi bussano alla porta e li fai entrare (per dirla come Dacia Maraini). Certo, è indubitabile che per “metterli in scena” devi prestare loro le tue facoltà intellettuali ed emozionali.

D: Ho notato che alcuni racconti sono centrati sull’incomunicabilità, in particolare quella tra familiari. Hai una soluzione da suggerire per tornare a comunicare?

R: Nelle storie, come è giusto che sia, il lettore non troverà risposte, ma solo stimoli e spunti per porsi domande. Almeno spero…  Il tema della “incomunicabilità”, così come quello della “crisi di identità”, è centrale e trasversale rispetto a questi racconti. E quello della incomunicabilità all’interno delle famiglie credo che sia particolarmente all’ordine del giorno. Io credo molto nella condivisione, nell’arte così come nella vita. E cerco di metterla in pratica. In ogni caso, in generale, ritengo che un primo necessario passo da compiere sia quello di riconoscere che il problema esiste.

D: Come mai hai scelto di narrare in seconda persona singolare?

R: Ho adottato questa scelta nel primo racconto, “Viaggio all’alba del millennio” (quello che dà il titolo alla raccolta) perché, a mio avviso, crea un effetto di maggiore coinvolgimento nel lettore. Desideravo che il lettore si sentisse chiamato in causa… come se quel “viaggio”, in un certo senso, interessasse proprio lui. Proprio te, caro lettore.

D: Ti trovi meglio nei panni di scrittore minimalista o in quelli di scrittore Thriller?

R: Non saprei. Credo la mia scrittura sia piuttosto poliedrica. La cosa fondamentale, per me, è agguantare storie e personaggi… e prestar loro, come ho già detto, orecchio e penna.

D: Cosa ti è piaciuto di più di Massimo scrittore, quando hai riletto il libro?

R: Rileggere il racconto “Raptus”, volutamente zeppo di errori di ortografia e di grammatica (perché la voce narrante è quella di una donna poco istruita), e scorgere in esso un nuovo linguaggio con le sue “antiregole”. E, paradossalmente, non avere alcuna preoccupazione di trovare refusi. (Questa è una battuta: sorridere, prego!)

D: Qual è il racconto di questo tuo libro al quale sei maggiormente affezionato? E perché?

R: Direi “Muccapazza”, originariamente pubblicato nella rivista di letteratura “Lunarionuovo” diretta da Mario Grasso. Era il 2003, se non ricordo male. Il motivo è di natura nostalgica, giacché quel racconto coincide con il mio esordio letterario “ufficiale”.

D: Ti riconosci in particolare in qualcuno dei protagonisti di Viaggio all’alba del millennio?

R: Per la verità, no. Non c’è un personaggio in particolare in cui mi riconosco, anche se…. Ti rispondo nella prossima domanda (che ho già adocchiato).

D: Scusa ma la domanda è obbligatoria: Hai paura a viaggiare in aereo?

R: Non particolarmente… ma ammetto che nei mesi successivi al crollo delle Torri gemelle di New York mi veniva istintivo guardarmi intorno nel tentativo di identificare possibili terroristi kamikaze.

D: Dopo il Thriller e la scrittura minimalista, sei alla ricerca di un nuovo format di linguaggio?

R: Sono sempre alla ricerca, per quanto riguarda il linguaggio. Credo sia una delle mie caratteristiche.

D: Progetti per il futuro?

R: Tanti. Continuare a portare avanti il mio blog: Letteratitudine. Proseguire il mio programma radiofonico di libri e letteratura che curo e conduco su Radio Hinterland. Ma soprattutto, continuare a scrivere. E non mancano nuove idee per ulteriori progetti…

D: Scriverai altri Thriller?

R: Penso di sì. Per certi versi il nuovo romanzo a cui sto lavorando assomiglia a un thriller.

D: Fatti una domanda e datti una risposta.

R: Domanda: Massimo, quand’è che toglierai da Letteratitudine quella ridicola foto di te con la “camicia celeste”?

Risposta: Mai, perché mi ha portato fortuna e ci sono affezionato… anche se, nel tempo, quella camicia sarà destinata a diventare grigiognola a causa dell’inevitabile logorio.

Da Ivo Tiberio Ginevra, grazie a Massimo Maugeri per la disponibilità e l’augurio di poterlo ospitare di nuovo su queste pagine.

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L’urlo del referendum terrorizza l’occidente

 

Navigando su internet mi sono imbattuto in un componimento poetico sui referendum del mio conterraneo Ezio Spataro.

Leggetelo è fantastico!

Quando tira brutta aria
per chi vuol democrazia
c’è la via referendaria
a portar la garanzia

Giù le mani dal cannolo
dove l’acqua è li che sgorga
ai privati e al loro stuolo
non sia mai che il cul si porga

La sorella umile e casta
come un santo ebbe a lodare
non si acquista mica all’asta
li provando a rilanciare

Per sorella nostra acqua
che ci da il sostentamento
fu idea che allor ci piacque
di bloccare il parlamento

fu l’idea referendaria
a difender l’elemento
che con terra fuoco ed aria
dona il ricco nutrimento

Or passiamo al vero attrito
dei quesiti in cui si vota
dell’uranio impoverito
che è bastone ed è carota

perchè serve a bastonare
per raggiunger la carota
e di colpo far girare
il profitto e la sua ruota

e il gestir la sicurezza
dell’impianto nucleare
va a finir come monnezza
nella Napoli solare

Or giungiamo al terzo punto
dell’idea referendaria
per mostrare il disappunto
a una legge un poco in aria

Il ministro e il presidente
per levarsi ancora un dente
han pensato un po alla buona
di far legge alla persona

ogni accusa a lor lanciata
come boomerang ritorna
la persona immunizzata
già si affila le sue corna

se reato fu commesso
mentre stava in parlamento
non sia avvia nessun processo
che altrimenti è impedimento

e seppure il gran ministro
ha un agire un po sinistro
in flagranza di reato
resta ancor legittimato

E divampa allor l’incendio
della folla popolare
mentre aumenta lo stipendio
dell’immun parlamentare

e gli bastan pochi mesi
di una rea contribuzione
per restar di pena illesi
e far grassa la pensione

allor giunge l’ira santa
degli onesti cittadini
la cui musica non canta
nei lor tristi cedolini

quarant’anni di lavoro
a versare il contributo
mentre il previdente oro
scende giù da un altro imbuto

Corri allora al lindo seggio
caro mio concittadino
pria che volga ancora al peggio
questo tempo malandrino

Ezio Spataro  – giugno 2011

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Una marina di libri

Primo Festival dell’editoria
indipendente a Palermo

3/5 Giugno 2011 – Palazzo Chiaromonte Steri

Tre giornate, quaranta case editrici indipendenti provenienti da tutta Italia, più di cento iniziative per tutte le età in unica manifestazione: presentazioni, reading, incontri con gli autori, laboratori artistico – creativi dedicati ai bambini, letture animate, incontri professionali, dibattiti tematici. E ancora una mostra sul libro d’artista, sei passeggiate letterarie, un gioco a squadre sul mondo dei libri, un concorso per booktrailer, performance musicali, installazioni, estemporanee di pittura, esposizioni, proiezioni, speaker’s corner.

Questi i numeri di Una Marina di libri, primo festival dell’editoria indipendente a Palermo: una vera e propria festa del libro che animerà gli spazi di Palazzo Steri dal 3 al 5 giugno.

La manifestazione, promossa dal Consorzio Centro Commerciale Naturale Piazza Marina&dintorni e da Navarra Editore in collaborazione con Associazione Oliver, Officine Studi Medievali e MDU – Movimento degli Universitari e patrocinata dall’Università degli Studi di Palermo, prenderà il via venerdì 3 giugno alle ore 16.30.

“L’idea di un festival del libro a Palermo, nell’area di Piazza Marina, – spiega Maria Giambruno, presidente del Consorzio CCN Piazza Marina&dintorni – si colloca perfettamente nel lavoro di valorizzazione cittadina portato avanti dal Consorzio. La sfida è quella di riuscire a fare economia e sviluppo ripartendo dal territorio e utilizzando come chiave strategica la cultura”.

 “Il festival – sottolinea Ottavio Navarra, di Navarra Editore – è realizzato con un budget ridottissimo. Al silenzio e al vuoto delle istituzioni culturali, rispondiamo con l’impegno di un team di ragazzi volontari che in questi mesi hanno lavorato duramente e con passione per la riuscita di questo importante evento, con la collaborazione di un nutrito cartello di associazioni che supportano il festival, con la partecipazione di editori ed autori di calibro nazionale che hanno voluto essere presenti a Palermo, nonostante l’assenza di risorse. Il nostro obiettivo è quello di rendere la manifestazione un appuntamento fisso e candidare Palermo a diventare il terzo punto nevralgico in Italia nell’ambito delle fiere editoriali, dopo Torino e Roma”.

Il fitto calendario di appuntamenti delle tre giornate è diviso in tre momenti principali: la mattina – dalle 9.30 alle 13.30 – dedicata principalmente alle attività per bambini e ragazzi (incontri con autori e illustratori, laboratori artistico-creativi, letture animate) e agli incontri professionali (Lo stato dell’editoria oggi; L’editoria digitale; La traduzione Letteraria) rivolti a addetti ai lavori, appassionati e studenti; il pomeriggio – dalle 16.30 alle 20.00 – animato da un intensissimo calendario di presentazioni e reading (un appuntamento ogni ora per quattro sale) proposto dalle case editrici presenti al festival; la sera – dalle 21.00 alle 24.00 – dedicato a dibattiti tematici, proiezioni e spettacoli.

Ad aprire i dibattiti tematici venerdì 3 giugno alle 21.00 saranno Emma Dante, Viola Di Grado, Veronica Tomassini, Beatrice Monroy e Annalisa Maniscalco, le cinque voci protagoniste dell’incontro “Scritture di donne”, sabato 4 giugno sarà la volta di Massimo Maugeri, Federico Novaro, Francesco Mangiapane e Giulio Passerini che discuteranno di “Letteratura 2.0: il fenomeno dei blog culturali”, mentre domenica 5 giugno la fa da protagonista il genere noir con il dibattito “Visioni in nero” a cui interverranno Elisabetta Bucciarelli, Antonio Pagliaro e Rosario Palazzolo, tre tra i più promettenti autori italiani del genere.

Gli spettacoli sul palco saranno inaugurati venerdì 3 alle 22.30 dalla voce e la musica di Pierpaolo Capovilla, frontman de Il Teatro degli Orrori, la rock band più apprezzata del 2010, che si esibirà in Eresia, un reading sul poeta e drammaturgo russo Vladimir Majakovskij; sabato 4 la serata è invece dedicata alla musica jazz del Brass Group; mentre domenica 5 Una Marina di Libri chiude con lo spettacolo teatrale Rabat di e con Salvo Piparo.

Tra gli altri ospiti, protagonisti degli incontri pomeridiani: Gian Mauro Costa, Santo Piazzese ed Elisabetta Bucciarelli dialogheranno sul ruolo dello scrittore contemporaneo; Patrik Ourednik, scrittore eclettico, traduttore, linguista, redattore di enciclopedie, curerà un reading dedicato al Trattato sul buon uso del vino di Francois Rabelais (duepuntiedizioni); Giuseppe Schillaci parlerà del suo fortunato romanzo Le Ceneri di Palermo (Nutrimenti) insieme a Roberta Torre; il poeta Elio Pecora presenterà il suo primo testo dedicato ai più piccoli Una cane in viaggio (Orecchioacerbo); Domenico Scarpa e Matteo di Gesù discuteranno dell’appena pubblicato Uno. Doppio ritratto di Franco Lucentini (:duepunti edizioni) il primo numero della collana :posizioni; Massimo Maugeri, curatore del blog Letteratitudine presenterà il suo “Viaggio all’alba del millennio”, una raccolta di racconti appena pubblicata da PerdisaPop; Rita Borsellino con Daniela Dioguardi racconterà l’esperienza delle donne del digiuno dopo la strage di Via D’Amelio, contenuta in Ho fame di giustizia (Navarra Editore), Anna Paola Concia parlerà del discusso La città del sesso (Caratteri Mobili). E ancora la casa editrice Verbavolant presenta Le parole del giglio, una raccolta di racconti inediti di Oscar Wilde; in anteprima verrà presentato Fellini e Manara (Navarra Editore) di Laura Maggiore e introduzione di Vincenzo Mollica con tavole inedite di Federico Fellini disegnatore, spazio anche alla letteratura migrante con Storie di extracomunitaria follia di Claudilèia Lemes Dias (Compagnia delle Lettere).

Per gli amanti dei documentari Una Marina di Libri offre anche un ciclo di docu-inchieste curate dal SiciliAmbiente Documentary Film Festival volto a promuovere e diffondere una “cultura della sostenibilità”: Standing Army, H2O Turkish Connection, The Nuclear Comeback sono i documentari in programma, tutte le sere a partire dalle 21.00 in chiesetta.

Infine per tutti gli scrittori o gli aspiranti tali che non hanno trovato spazio nel programma ufficiale del festival c’è Una Marina di Voci: uno speaker’s corner libero in cui presentare i propri scritti. I pomeriggi di sabato 4 e domenica 5 giugno, dalle 17.00 alle 19.00, il palco sarà aperto per chiunque voglia leggere, recitare, esporre il proprio testo. Autori emergenti, giovani scrittori, poeti in erba avranno dieci minuti a propria completa disposizione per far conoscere al pubblico versi, personaggi, storie.

Il programma su www.unamarinadilibri.it o sulla pagina facebook Una Marina di Libri. 

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Concetto al buio

  

E perciò, visto che sei il più grandissimo, fai una cosa piccola per me, caro gesù: da adesso in poi, e per tutto il tempo del mio racconto, non ti mettere nessuna espressione, fatti di niente, ascolta la storia che infilerò dentro al foglio e non spiccicare parola, perché solo così potrò scrivere senza vergogna tutto quello che è successo, solo così potrò azzerare per poi ricominciare daccapo… e allora ci stai a questo giochetto? ci stai a scancellarti da ogni dove? grazie gesù mio, allora schiodati dalla croce e scomparisci, per favore.

Un libro di ROSARIO PALAZZOLO edito Perdisa Pop
A Palermo c’è un ragazzino segregato in una stanza buia. Due donne hanno appena sprangato con delle assi di legno la sua porta, per lasciarlo morire d’inedia. Nel frattempo scorre come un diario una lettera a Gesù crocifisso: una storia segreta e difficile, con un padre silenzioso, una madre arcigna, un prete che impartisce supplizi morali… Di chi è questa storia? E chi è quel ragazzo?
RECENSIONE
Frugo in libreria alla ricerca di un qualcosa d’astruso da leggere.
Ho voglia di un testo complesso, difficile, magari pieno di quelle universali realtà, ma corto rigorosamente corto. L’occhio mi cade su Concetto al buio un piccolo libro dalla veste grafica elegante edito da Perdisa Pop, quindi con alle spalle la regia di quel consumato demiurgo di Luigi Bernardi, “una garanzia” mi dico. L’autore del romanzo è Rosario Palazzolo, mio conterraneo, le pagine 120, costa poco, ha tutto quello che cerco, lo prendo.
Scopro subito che sono stato ingannato dal titolo.
Concetto non è un’idea, un pensiero in genere. Volendo usare lo stesso linguaggio del narratore (per il signor Zanichelli, che ha scritto il vocabolario che c’ho io, concetto vuol dire nozione che la mente si fa di ciò che è qualcosa e sta tra le parole concessore e concezionale) e io allora non mi faccio persuaso perché Concetto è in realtà il nome di un adolescente che vive in un degradato quartiere di Palermo.
Ho parafrasato il modo di esprimersi di Concetto per far capire subito che il linguaggio è uno dei tratti geniali di questo romanzo.
Rosario Palazzolo, prestato dal teatro alla narrativa, ha trasmesso in quest’opera il frutto esasperato di una sua personale ricerca stilistica della lingua parlata, intrisa anche di humour e d’espressioni dialettali, che in bocca ad un ragazzino danno uno spessore indimenticabile ed una forza drammatica inaudita a questa storia di miseria umana.
Concetto al buio vive anche di un altro esercizio stilistico, consistente nella sensibile riduzione della punteggiatura e nell’eliminazione delle maiuscole, il tutto all’interno di periodi incredibilmente lunghi e a tratti di proposito sgrammaticati.
Il combinato disposto di queste due regole stilistiche rigorosamente applicate dallo scrittore forma un mix d’inaudita forza emotiva alimentata di continuo dalla semplicità di una voce narrante al buio. Quella appunto di Concetto, tredicenne che sa di morire in modo orribile senza aver colpa alcuna, come agnello sacrificale sull’altare della menzogna. Il romanzo è, infatti, il trionfo della falsità, della grettezza morale sulla nobiltà d’animo, della cattiveria dei grandi sull’innocenza dei più piccoli e dei più deboli.
È una storia dove la speranza non esiste e al suo posto c’è solo una cupa disperazione narrata da una voce al buio che sa di morire. Dove il buio amplifica la forza drammatica del racconto e dove Concetto non è più un nome, ma il simbolo della verità che va taciuta, o meglio raccontata ad un Gesù attraverso un monologo trascritto in un diario testimone dell’assurda tragedia dell’uomo saldamente legato all’ipocrisia di una morale insensata spinta fino al parossismo della tragedia.
Il nostro tredicenne protagonista, nonostante la sua giovane età, è già stato ampiamente forgiato dalla vita degradata del quartiere dove vive, dalla prima tragedia familiare, dall’incomunicabilità totale con i suoi genitori e i parenti, e da dio che attraverso il suo ministro lo profana nel corpo e nell’anima.
Il nostro protagonista è disarmante nella sua semplice comunicazione della verità ed altrettanto semplice è vedere come il mondo esterno lo fa tacere con le sue complicate e incomprensibili regole legate alla cultura dell’omertà e del pensiero di quello che dice la gente. Due tematiche tanto care a Pirandello che per anni ha sviluppato nei suoi lavori e che oggi sembra aver lasciato in eredità a Rosario Palazzolo.
Basta, non voglio dire altro perché è evidente il mio apprezzamento per quest’opera dai tratti geniali e ringrazio l’autore per avermi dato questo gran piacere inventando un nuovo originale modo di scrivere.
NO! Ripensandoci ho una cosa da dire, ma è rivolta alle grandi case multinazionali dell’editoria: Finitela di pubblicare solo autori di best-seller che spesso non hanno nulla di best se non le solite tematiche trite e ritrite. State appiattendo tutto. Fate un salto nelle vostre stesse librerie per accorgervi dell’eguaglianza tematico-letteraria disarmante che state creando. Date spazio a nuovi autori di talento che devono essere conosciuti per la bellezza delle loro storie e la grandezza dei loro contenuti. Lasciate a casa, o specialmente all’estero qualche orribile best-seller e dedicatevi al vostro nobile mestiere d’editori pubblicando anche chi vale ed ha qualcosa di buono, o di nuovo da dire.
In conclusione sono 120 pagine di frustate dove la voce di Concetto al buio ha la stessa forza di un cappio che stringe lentamente la sua morsa fino in fondo. Il fondo dell’impotenza di una verità “buttanissima.”
Ivo Tiberio Ginevra
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Non fare la cosa giusta

di Alessandro Berselli - Edizioni Perdisa Pop

Claudio Roveri è un informatore medico scientifico. Conduce una vita di apparenze. Apparentemente è un professionista affermato, ha una famiglia felice, nessun motivo, per non sentirsi soddisfatto, in realtà le cose non vanno così bene. Roveri cova il disagio. Odia Bologna, che è diventata una città così diversa da come se la ricordava. Negri, punk e zingari ai semafori, e quella sensazione di degrado che ha ogni volta che cammina per il centro. Roveri odia, ma non fa nulla. Si rifugia nella famiglia, negli amici di sempre, nel lavoro. Fino a quando reagisce, assecondando la sua vera natura. Una sera durante un rapporto sessuale con una giovane dottoressa conosciuta per lavoro, sente suonare il cellulare, ma non risponde. A chiamare è sua figlia, in cerca di aiuto. La vita di Claudio Roveri, da quel momento in poi, cambierà una volta per sempre.

Dirò subito che Non fare la cosa giusta è un ottimo libro. Che è un vero noir senza via di scampo e che vorrei vederlo vincitore di quei famosi premi letterari dove autorevoli tromboni scrittori dispensano la loro saggezza infinocchiando libri difficili, a volte scritti male e che non lasciano nulla dentro se non quelle solite scontate riflessioni.

Berselli racconta la crisi dell’uomo contemporaneo e lo fa senza particolari paroloni con una storia ben scritta, semplice e nera, con misura, originalità e soprattutto affidandosi a una prosa dal ritmo crescente fino al punto da farsi leggere senza soste.

Fin dall’inizio colpisce subito l’inconsueto e azzeccato utilizzo della seconda persona quale forma narrativa:

Non ho mai tradito tua madre.

Non che non ci abbia mai pensato, non sono mica un santo. È solo che alla fine ho fatto prevalere il senso di responsabilità. L’etica della famiglia, se così la vogliamo chiamare.

Rileggo la frase.

Senso di responsabilità, etica della famiglia. Sono ridicolo, ho appena iniziato a scriverti e già me la sto raccontando.

Ne prendo atto. Ricomincio da capo.

Ho sempre avuto paura. Paura di essere scoperto, di non riuscire a farla franca. Non sono bravo a mentire, Erica, e tua madre è troppo furba per non accorgersene.

È per questo che non l’ho mai tradita.”

Sembra di leggere una lunga lettera che Claudio Roveri, il protagonista del romanzo, indirizza alla figlia Erica, ma non è così. Non è una lettera. È solo un monologo, o meglio, è una grande invenzione narrativa che ha il meritevole compito di mettere ben chiari e fin da subito, gli ingordi sensi di colpa divoratrici della personalità di un padre teso solo alle gioie effimere borghesi del suo tempo, a scapito delle uniche certezze irrimediabilmente perdute della famiglia, dell’amore coniugale e più di tutto, dell’amore fra un genitore e la figlia adolescente.

Nella prima parte del romanzo abbiamo un protagonista che ha speso tutti i suoi primi quarant’anni di vita per correre dietro alle apparenze (vedi la bella casa, la bella moglie avvocato, la bella figlia studente), alle prospettive di una carriera brillante, all’effimero (come il bisogno dell’aperitivo preservale nei locali chic del centro città), e con il dio denaro al di sopra di tutto.

Claudio Roveri fin dall’inizio della storia ha già sviluppato questi temi feticistico borghesi volti alla raccolta “dell’inutile prezioso” a scapito della certezza emotiva. Si è già consumato nell’autocompiacimento narcisistico del proprio IO, in costante ricerca di realizzare altri edonistici bisogni, come tradire la moglie, ovviamente con una bella donna, ovviamente in carriera, ovviamente elegante, ovviamente porca, ovviamente riservata e soprattutto capace di non intaccare i suoi beni sociali conquistati, e mi riferisco ovviamente alla famiglia, ovviamente al prestigio sociale, ovviamente a quei beni di consumo che danno un significato alla vita. La sua vita. Altrettanto ovviamente, Roveri ha cognizione del disagio che caratterizza le sue certezze, ma impegnato com’è a correre dietro al suo IO, non tenta neanche una volta di risolvere il malessere della famiglia, magari cercando un dialogo con la moglie o con la unica figlia oramai diciassettenne. Non prova neppure ad annullare la distanza creatasi fra loro, considerandola incolmabile. Non fa nulla per entrare in quel mondo di cose a lui distanti e incomprensibili, in una sola parola nel semplice mondo degli adolescenti. Eppure Claudio Roveri adora sua figlia e sa bene di avere sbagliato in tutto: “fallire come marito è un peccato veniale, ma non esserci come padre è la voce peggiore che può capitare in un bilancio esistenziale”.

Il protagonista è in tutto e per tutto cosciente del fallimento, ma non reagisce. Continua a rifugiarsi nell’effimero con l’unica conseguenza di assecondare la noia partorendo un insopportabile disagio che lo porta ad essere intollerante verso ogni cosa ad iniziare dalla sua città che oramai detesta, e a tutte le forme di vita diverse da lui (zingari, barboni, giovani colleghi, extracomunitari, ecc…). È un disagio che dapprima cresce lentamente (litiga con il compagno di scuola della figlia, attacca briga con un giovane collega in un ambulatorio, ha un acceso diverbio con Luca lo psicologo) e poi matura uccidendo il cane del vicino, pigliando a schiaffi una zingara, bruciando vivo un barbone, ma proprio quando l’attenzione del lettore è rivolta alla discesa negli abissi di Roveri, oramai intento a non fare la cosa giusta, ecco che Berselli ha quel colpo di genio che rende unico questo romanzo: Termina la prima parte all’apice del suo interesse per iniziarne una seconda diversa. Una seconda del tutto inaspettata e spettrale che getta il lettore in un turbinio di pensieri ed azioni dove non fare la cosa giusta è l’unico imperativo che legittima l’agire del nostro personaggio che oramai ha capito e detesta senza remissione alcuna la sua vita inutilmente condotta.

Le effimere certezze di uno stimato e benestante professionista quarantenne si sono trasformate in palliative menzogne e inadeguate finzioni non più in grado di trattenere i freni inibitori dell’uomo oramai deciso a scendere nell’abisso.

È in questo clima che Roveri compie degli atti inconsulti che paradossalmente gli danno iniezioni di autostima fino alla distruzione generale.

Non voglio commentare oltre, perché toglierei il piacere al lettore di godersi un bel finale del tutto inaspettato e finisco incensando quest’opera narrativa di Alessandro Berselli e complimentandomi con quel grande saggio di Luigi Bernardi abituato da sempre a fare la cosa giusta.

Ottima e comunicativa anche l’immagine di copertina in perfetta sintonia con il romanzo ed il suo recondito significato.

Ivo Tiberio Ginevra

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Il ragazzo dai capelli rossi

 …ma chi me lo doveva dire di leggere un western!

Grazie ai remainders ho acquistato su un sito di vendita libri on line “Il ragazzo dai capelli rossi”. Un western pazzesco che mi porta a valutare il suo autore Piergiorgio Di Cara, fra gli scrittori più eclettici del nostro panorama letterario contemporaneo.

Questo romanzo breve è un piacevole cambio di registro del narratore palermitano che abbandona le sue terrene storie poliziesche per donarci uno spaghetti-western concentrato di tutta una cultura italiana del genere, che si snoda fra i fumetti di Tex Willer, il cinema di Trinità e le atmosfere di Sergio Leone come collante.

È un omaggio alle nostre gioventù cresciute per strada a giocare con pistole e fucili, a indiani e cowboys. Il ragazzo dai capelli rossi mi ha riportato in mente quelle sparatorie pazzesche con i miei cugini e gli altri ragazzi del quartiere, combattute nei cortili e fin dentro le aiuole incolte piene d’ortiche. Ricordi sbiaditi in bianco e nero, nel cinema muto dell’infanzia perduta che ancora adesso ha il sapore della felicità innocente. Ricordo che tutti volevamo avere lo sguardo alla Terence Hill, oppure quello a fessura di Bud Spencer, e volevamo essere buoni o cattivi come Lee Van Cleef e avere per amici Kit Carson e il suo indiano.

Di Cara bastardo, con il tuo romanzo mi hai buttato indietro di quarant’anni per farmi respirare quella pura gioia innocente che la vita mi ha strappato semplicemente facendomi crescere. Mi hai ricordato che nei miei giochi ero “Il ragazzo dai capelli rossi” coinvolto mio malgrado a uccidere i nemici che mi cercavano come le mosche cercano il miele, senza che io avessi fatto niente. E li uccidevo con la mia infallibile mira e con i miei alleati cugini, Rosario, Ninni … e c’era anche Isabella …la ragazza (irraggiungibile) che nei sogni mi aspettava innamorata, dopo avere ammazzato Mimmo, il cattivo che la voleva toccare. E avevo pure un cavallo nero come la notte, che mi portava veloce da lei. E avevo tanto altro ancora…

Di Cara grazie. Con la tua storia hai fatto rivivere per qualche ora “Il ragazzo dai capelli rossi” che ho scoperto di avere ancora dentro, e che era ancora vivo. Non era morto, era solo nascosto dai cumuli di pensieri che massacrano i cinquantenni, che fra bisogni terreni e affanni giornalieri per la prima volta iniziano a pensare: “quanto ancora mi resta da vivere.”

Scusate se non ho parlato del romanzo, ma alla fine non c’è niente da dire, ha tutto come nella migliore tradizione del western puro. È bello e ve lo consiglio, ma dovete saperlo leggere. Dovete respirarlo ad occhi chiusi. Dovete viverlo e abbandonarvi liberi alle  suggestioni che vi evocano la vostra vecchia infanzia spensierata oramai sepolta dalle rate del mutuo in un camerino della memoria.

Un ultima cosa rivolta a Luigi Bernardi e la dico nel linguaggio western: “Sei bravo straniero. Non sbagli un colpo”.

Splendida copertina.

Ivo Tiberio Ginevra

 

Titolo: Il ragazzo dai capelli rossi

Autore: Piergiorgio Di Cara

Editore: Perdisa Pop

Anno: 2007

Informazioni: pg. 113

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Concorso letterario “Racconti contro la guerra”

Vi segnalo un concorso letterario davvero originale e avanguardistico. 

L’associazione “Montesilvano Scrive” insieme al “Gruppo Emergency di Pescara” organizza il concorso di scrittura creativa “Racconti contro la guerra”.

Manda un racconto che abbia come suggestione l’Articolo 11 della Costituzione Italiana: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

Il racconto non dovrà superare il limite di 4.500 battute (spazi inclusi).

Dovrà essere inviato entro la mezzanotte del 25 aprile 2011 insieme ai dati anagrafici dell’autore all’indirizzo mail: [email protected]

I racconti saranno pubblicati in forma anonima sulla pagina Facebook Festival Letterario “Montesilvano scrive” per la prima fase di preselezione che terminerà il 1 maggio 2011.

La preselezione terrà conto di tre criteri:
- il giudizio popolare degli utenti, dato tramite il tasto MI PIACE
- i voti (espressi da 1 a 5) dai profili di Montesilvano Scrive e del gruppo Emergency di Pescara.

I primi 8 racconti classificati nella tradizione del Festival si sfideranno in un “Match d’autore” (una lettura pubblica che si terrà l’8 maggio presso il Groove).

Il racconto vincitore verrà pubblicato sulla rivista VARIO.

Info e bando:
www.montesilvanoscrive.it

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Accade davvero

Il fatto:

Martedì  1 marzo 2011 ore 19.00 – Canale 5, trasmissione “Chi vuol essere milionario”.

Il Presentatore Gerry Scotti ad un concorrente legge per un valore di 1.500 euro, la seguente domanda (una di quelle facilitate per rompere il ghiaccio):

Chi elegge il Presidente della Repubblica Italiana?

a)      Il Consiglio dei Ministri;

b)      Il Senato;

c)       Il Presidente del Consiglio;

d)      Il Parlamento.

Il concorrente entra in palese difficoltà e ritenendo la cosa “una roba per anziani”, ritiene che sia eletto dai senatori.

Il presentatore, anche se organo neutrale per istituzione televisiva, insinua il dubbio e consiglia di usare uno dei tre aiuti a disposizione.

Il concorrente accetta il suggerimento e siccome ritiene la domanda di carattere nazional-popolare decide di ricorre all’aiuto del pubblico presente in sala.

Il pubblico interpellato si divide in un verdetto paritario, infatti, metà ritengono che  Presidente della Repubblica  sia eletto  dal parlamento e l’altra metà, dai senatori.

A questo punto il concorrente obbligato a decidere, sceglie di fidarsi di quella metà di pubblico che ha indicato i soli senatori e ovviamente sbaglia perché il Capo dello Stato è eletto dal parlamento in seduta comune, ed è eliminato dal gioco.

Le considerazioni:

Un volta qualcuno disse: “Qui o si fa l’Italia o si muore” e qualcun altro disse ancora: “Abbiamo fatto l’Italia, ora facciamo gli italiani” e adesso, a 150 anni dall’unità d’Italia ed a 63 anni dall’entrata in vigore della Costituzione della Repubblica Italiana, mi domando: come dobbiamo reagire quando in un programma televisivo assistiamo a questo incredibile sfoggio d’ignoranza, o meglio con chi dobbiamo incazzarci? Forse con Garibaldi? O con Enrico De Nicola che firmò la nostra Costituzione? Oppure con il nostro sistema scolastico, o la nostra società usa e getta, o con i nostri governanti che hanno permesso degli attacchi d’ignoranza di tale proporzione, oppure con questo o con quello. Io me la prendo solo con i curatori del programma di Gerry Scotti che si sono permessi di fare una domanda così stupida a scapito dello spettacolo, quando il nostro concorrente e tutto il pubblico in sala avrebbe potuto  applicarsi e dare soddisfazioni con qualche bella domanda di gossip magari su chi ha il culo più a mandolino fra la Belen o la Canalis?

Volevo commentare il fatto, ma mi mancano le parole, o meglio, mi viene da dire solo Povera Italia ed ho la voglia di prendermela con tutti.

Ivo Tiberio Ginevra

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