Di nuovo notte

Donne vampiro, donne sopravvissute e tormentate dal senso di colpa, donne in attesa che si compia il loro destino. Sono tre donne le protagoniste di Di nuovo notte, il nuovo volume della saga 30 giorni di notte, il fumetto ha ispirato il film 30 giorni di buio.

I primi volumi del fumetto, proposto da Magic Press, erano firmati dallo sceneggiatore Steve Niles  e dal disegnatore Ben Templesmith mentre, udite udite, quest’ultimo volume è sceneggiato niente poco di meno che dal mitico Joe Lansdale, che non ha certo bisogno di presentazioni. A dare vita al mondo cupo dello scrittore texano, le matite di Sam Kieth noto, tra le altre cose, per essere il disegnatore di Sandman, il capolavoro di Neil Gaiman. Il suo tratto sporco e a tratti grottesco, ben lungi dalla perfezione tecnica ma alla continua ricerca di “una qualità sognante e vulnerabile da contrapporre ai vampiri, al sangue e alla violenza”, utilizzando le parole dello stesso Kieth, è perfetto per vestire la storia crudele di Lansdale che non risparmia violenza, cannibalismo e fiumi di sangue che tingono la neve come i papaveri i campi.

Il mio personaggio preferito è la tormentata Trudy, ma la cattiveria della vampira sulle sue tracce è degna di nota. Da leggere lontano dai pasti.

 

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Appunti sanfeliciani: perché voglio ricordare

Quando dalla redazione di Appunti sanfeliciani mi hanno chiesto di scrivere un pezzo sul terremoto, in occasione dell’anniversario dalla prima scossa, per un attimo mi sono sentita inadeguata. In questo anno abbiamo cercato tutti di guardare avanti e anche se mi capita spesso di svegliarmi alle 4 di mattina con il cuore in fiamme e un senso di terrore che mi stringe il petto, anche se  i lavori di ricostruzione nel mio paese sono solo agli inizi, ho cercato in qualche modo di trovare nuove abitudini e di dare alla mia vita una parvenza di normalità. Come tutti gli emiliani del resto, ognuno a modo suo.

Poi, ho accettato di farlo. Ho iniziato a scrivere quel pezzo con il timore reverenziale di chi sta per affrontare un mostro forte e pericoloso, che credevi dormisse da qualche parte e invece si è risvegliato e ti sta aspettando al varco. E ancora una volta scrivere mi ha aiutato. Aiutato a superare una data difficile e a fare un passo in avanti verso la guarigione da un ricordo tagliente che ci ha reso per sempre diversi. Ve lo propongo.

“Ci sono anniversari che non si vorrebbero dimenticare mai, giorni di felicità che vorremmo restassero per sempre impressi nella memoria, ma soprattutto nel nostro cuore. Il giorno della laurea, quel compleanno da bambino quando il nonno ti aveva regalato proprio il giocattolo che desideravi, il giorno del matrimonio, la nascita del primo figlio; la prima volta che l’hai guardato negli occhi e l’hai riconosciuto come parte di te. Una giornata al mare con il sole che sembra lambire la superficie dell’acqua, le onde si infrangono a riva con morbidi sussurri e senza motivo hai pensato che in fondo basta poco per accarezzare un istante di gioia, perché la vita è fatta di attimi, sì, proprio come dicono le canzoni.

Ci sono giorni invece che vorresti dimenticare. Ma dentro di te lo sai, che non potrai dimenticarli mai. Il 20 maggio 2012, per esempio.

Cosa è rimasto della mia identità? Me lo chiedevo spesso durante le settimane successive al sisma. Perché, chiuse tra le transenne della zona rossa, c’erano anche le macerie dei miei ricordi, immagini svuotate della dolcezza e della speranza che custodivano. San Felice, per me, era fatta di mattoni, di campi di frumento, di alberi a perdita d’occhio lungo le piste ciclabili e dei piumini dei pioppi che le riempivano in primavera, di autoscatti davanti alla Rocca dopo essere stata al cinema, di gelati dal Cicci con liquirizia e cioccolato, di neve fuori stagione e di corse per prendere il treno perché la campanella sta suonando e accidenti alle scarpe sbagliate, che i tacchi per correre non sono per niente adatti. Era fatta di ricordi. Di abitudini che mi ero scelta col passare del tempo e a chi mi conosceva raccontavano qualcosa di me.

Poi, domenica 20 maggio alle 4:04 del mattino, quella narrazione si è interrotta. Ricordo il brusco risveglio. Il mio appartamento sembrava indemoniato. Era difficile anche scendere dal letto, il pavimento mi respingeva, voleva vedermi in ginocchio. Non scorderò mai la sua voce. La voce distorta dell’urlo della terra, che dalle viscere della terra entra nelle tue, di viscere. Un boato dissonante, prolungato, in cui si incastrano muri che fremono, tetti che sobbalzano.

Poi è iniziata una sequenza di giorni tutti uguali, in cui il tempo era scandito dai continui assedi delle scosse. Un logorio che non lasciava sosta, un braccio di ferro tra la forza della natura e i nervi. Erano giorni in cui si alternava la pioggia al caldo, in cui i sedili di un’auto potevano diventare il riparo per la notte per un’intera famiglia, padre, madre e figli piccoli.

Oltre alle tendopoli della Protezione civile, ecco spuntare tanti piccoli accampamenti, uno per ogni rione, e i vicini che si ritrovavano a essere di nuovo dirimpettai, a ricostruire relazioni come un tempo intorno al focolare.

Mia nonna mi ha detto che in tempo di guerra bisognava spegnere presto le luci, così, la sera le sorelle si riunivano intorno al caminetto, e si raccontavano delle storie. Lei non aveva paura dei bombardamenti e, piuttosto che ripararsi, preferiva uscire per guardare gli aerei che sfrecciavano nel cielo. Aveva un sacchetto di rete dove custodiva i piccoli oggetti a lei cari, tra cui una scatola di latta con dentro due bottoni, un pezzo di nastro e una spagnoletta. La teneva sempre con sé, il suo unico bagaglio per quando tornavano le bombe e bisognava essere pronti a spatinàr, la parola in dialetto per intendere evacuare e cercare un nuovo rifugio. Questo aneddoto mi è venuto in mente mentre raccoglievo i cocci della mia collezione di ceramiche, scelte in anni di frequentazione dei mercatini. Non si è salvato praticamente nulla, ma ho trovato intatta la testolina di una statuetta anni Trenta, dall’espressione dolce e malinconica al tempo stesso. Finirà nel mio cassetto dei ricordi, insieme a nuovi simboli e nuove storie da raccontare.

Storie di eroi schivi come don Giorgio, il nostro parroco, che dopo la scossa dell’una e mezza ha fatto evacuare gli scout che ospitava in canonica, salvando loro la vita. La canonica che è collassata su se stessa, alle 4:04 di un mattino che doveva essere come tanti, insieme alla chiesa di fronte, della quale ora rimane solo una parte della facciata. A crollare, anche la piccola chiesa del Mulino. La settimana prima del terremoto, ho visitato la mostra del fotografo Giuseppe Goldoni, allestita alla torre Borgo. Giuseppe ha raccontato la vita del paese attraverso scatti rubati alla quotidianità e ai suoi riti, lo ha fatto da quando aveva vent’anni, subito dopo la fine della guerra. C’è una foto, in particolare, che ha attirato la mia attenzione. L’anno è il 1950. Proprio davanti alla chiesa del Mulino, in sfilata in processione sembra esserci l’intero paese, dal tanto che la strada è gremita. La torre Borgo è crollata, e nella foto che ho scattato all’alba della prima scossa davanti alla chiesa del Mulino, c’erano soltanto detriti, a ricoprire la strada.

Ma ora i detriti iniziano a diventare cantieri. Il nuovo centro storico sta prendendo vita e con esso nuove abitudini. È questo che voglio ricordare. Voglio ricordare come ci siamo risollevati, voglio ricordare che abbiamo saputo trasformare la paura in coraggio, voglio ricordare anche per chi non c’è più.
Perché i nostri ricordi nessun terremoto potrà mai abbatterli.

Siamo qui, nella nostra terra. Ancora.”

 

 

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“Come se fosse ieri”: Irene Vanni e i Duran Duran

Chi non conosce i Duran Duran? Oggi vedendo i video musicali che li hanno resi famosi nei mitici anni Ottanta e di cui sono precursori, sì perché nessuno prima di loro aveva capito quanto potessero essere un potente strumento di marketing, i cari vecchi video musicali, be’ vedendoli oggi si viene catapultati direttamente in quell’epoca d’oro, mascara e pailettes. Simbolo generazionale, ma anche successivamente simbolo di rinascita perché in tanti i Duran Duran li davano per spacciati, mentre hanno saputo risalire la china, rifarsi un look e mantenere la propria credibilità.

Perché vi sto parlando proprio dei Duran Duran? Perché il loro concerto è sfondo di una storia di amicizia che travalica il trascorrere del tempo. Quattro ragazze che nel 1987, a soli quindici anni, scappano di casa per andare a un loro concerto si ritrovano quarantenni demotivate e costrette a fare un bilancio dei fallimenti della propria vita. E decidono di darsi una seconda possibilità. Come? Tramite un viaggio che le porterà a un nuovo concerto della band di Birmingham. Tutto questo in “Come se fosse ieri” (Fabbri editore) della camaleontica Irene Vanni.

Come nasce Come se fosse ieri?
In venti giorni, per la miseria! La mia sfiga editoriale è composta da una lunga catena di incredibili sventure e peripezie che farebbero impallidire persino il Conte di Montecristo, così quando sono entrata in contatto con Rcs mi sono detta: “Questo treno non lo perdo manco morta!” Era la metà di luglio, già sapevo di non poter andare al Lucca Summer Festival a vedere i Duran Duran e l’idea mi girava per la testa da alcune settimane. Non l’avevo ancora scalettata perché per infilarla nel mio affollato cassetto di inediti avevo tutto il tempo che volevo. Finché in Fabbri non mi hanno dato carta bianca. Allora è diventato tutto un altro paio di maniche… da rimboccare! Loro avevano valutato dei miei lavori brevi, non mi andava di riesumare materiale vecchio dall’affollato cassetto, ed era il momento giusto per elaborare quanto avevo in mente. Quando, dopo ferragosto, mi hanno chiamata per chiedermi se mi ero fatta venire qualche idea, ho detto loro che, se volevano, potevano leggerlo. L’ho inviato senza nemmeno revisionarlo. Per me, che sono abituata a limare per mesi ogni virgola, è stato traumatico, ma ormai avevo fatto mio il motto delle protagoniste (nonché singolo trainante dell’ultimo album dei DD): All you need is now! Poi vada come vada… ed è andata.

I Duran Duran sono simbolo di una generazione. Cosa rappresentano per te?
Lo hai detto: sono il simbolo di una generazione, e di conseguenza lo sfondo (e il sottofondo) dell’età più spensierata per chi è stato adolescente negli anni ’80. Ma i tempi cambiano così come le persone, e tutto quanto allora sembrava frivolo e sereno, alla luce della crisi odierna, acquista un significato diverso, dolce e amaro al tempo stesso, tanto più che mettiamo a confronto il periodo più ricco e quello più povero della nostra storia. I Duran Duran hanno riempito questo periodo anche nella mia vita, e tutt’oggi li seguo. Mi sono sembrati ancora lo sfondo (e sottofondo) ideale di una storia di formazione generazionale che andava ad analizzare questi cambiamenti presunti o solo apparenti.

Sei appassionata di horror e hai vinto concorsi letterari legati a questo genere. Ora hai scelto di scrivere un romanzo generazionale con attenzione all’universo femminile. La storia era già dentro di te? Hai riscontrato più difficoltà nell’avvicinarti a questo genere?
No, tutto il contrario. Abituata a ‘gavettare’ per selezioni editoriali, forum, laboratori di scrittura e giornali di genere, una volta che mi è stato concesso di andare a briglia sciolta mi sono sentita liberata ed è uscito tutto in maniera più fluida. I concorsi e le selezioni si addensano sempre intorno a un genere o a un tema, una caratterizzazione o una traccia. Questo esercita a sviluppare le idee e valutarle con molta autocritica prima di decidere se valgono la pena di essere lette o se sono trite e fra le altre proposte non emergerebbero. Giustappunto perché il genere vede il suo punto di forza nell’idea. Il mainstream si basa sul presupposto contrario: l’idea è spesso e volentieri elementare, una storia comune fatta di personaggi in cui tutti possono immedesimarsi, e lo sforzo risiede nello sviluppo e nella caratterizzazione dei personaggi da formare. L’uno è uno sforzo più creativo, l’altro più tecnico (fermo restando che ogni lato sarebbe necessario in ambedue). Nel momento in cui ho potuto scrivere quello che volevo (ed era da tempo che ci speravo), mi sono poi divertita a unire i due aspetti: un romanzo maistream di formazione che non fosse necessariamente un mattone intellettualistico, ma una storia d’evasione come quelle di genere, con un linguaggio accessibile a tutti, qualche particolare ‘esotico’ disseminato qua e là (pur restando nel verosimile) e un approccio fra il serio e il leggero, il malinconico e il comico.

Le tue protagoniste sono quarantenni per certi versi insoddisfatte ma che ancora hanno voglia di sognare, ricominciare. Le senti vicine? C’è qualcosa di te seminato tra i personaggi oltre la passione di Laura per il rock?
I personaggi sono tutti di pura invenzione, dunque c’è qualcosa di mio in tutti loro, e nessuno di loro è me. Ho solo cercato di dare voce a diversi profili di donna, in modo che un po’ tutte possano riconoscersi in una o più di loro. Particolari o aneddoti presenti nella storia possono dunque appartenere a me come a qualsiasi altra donna. C’è di tutto, dalla situazione (non) lavorativa nell’Italia attuale ai problemi di salute (ossessioni, fobie, vizi o dipendenze che siano), dai rapporti con i figli (se ci sono o non ci sono) o i genitori (la generazione ancora più indietro) a quelli con il sesso opposto. Chi non ha avuto almeno un’amica come Simona, per esempio, che è stata a lungo con un uomo già sposato e a cui viene detto in continuazione: “Ma lascia perdere! Se avesse voluto lasciarla lo avrebbe già fatto da quel di’…” Mi sono documentata come si fa con un romanzo storico o uno di fantascienza. Cos’è in queste situazioni che fa cadere le braccia? Discorsi fra donne, statistiche, per caratterizzazioni più ‘vere’, anche se immaginarie. Be’, la risposta, nella stragrande maggioranza dei casi, stai pur certa che è quella che ho inserito nel romanzo.

Vuoi svelarci i tuoi progetti futuri?
Con Fabbri sono già stati stipulati accordi per un altro libro, ma al momento siamo concentrati sulla promozione di questo, quindi è ancora presto per parlarne. Siamo in trattative anche per diverse ‘ospitate’a festival e manifestazioni estive varie, e spero di poterne ufficializzare a breve qualcuna.

E per finire: la tua canzone preferita dei Duran Duran? E tu sei mai stata a un loro concerto?
Certo! I deliri descritti nel libro in merito al tour di “Notorious” dell’87, per esempio, li ho sperimentati di persona. Però è difficile scegliere un’unica canzone. Oggettivamente, da critica musicale, riconosco che il pezzo migliore è “Ordinary World”; sono molto affezionata a brani del passato quali “The Chauffeur”, “Union of the Snake” o “Vertigo”, però la canzone che nell’ultimo anno ha ruotato di più nelle mie orecchie è stata proprio “All you need is now!” Non solo per l’augurio che la band di oggi lancia ai fan nel presente, non solo per lo stesso messaggio che ho cercato di trasmettere attraverso il libro a una generazione di donne al macero che deve ricominciare a credere in se stessa, ma anche per una semplice questione musicale, e ancora generazionale: rimanere fedeli al proprio stile passato, senza però lasciarsi scappare l’attimo che fugge nel presente, adattandosi ai tempi che cambiano.

 

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The making of Aurora – Sleeping beauty

«Come nascono le idee? Con questo volume vengono aperte le porte dell’officina di due professionisti, Barbara Baraldi e Lucio Parrillo. L’una della narrativa, l’altro dell’illustrazione, per scoprire come nasce un volume come Aurora – Sleeping Beauty. Tra i contenuti speciali ed esclusivi: sketch e bozzetti, studi dei personaggi, stralci del soggetto dettagliato, la prefazione di Barbara Baraldi e alcune tavole illustrate da Lucio Parrillo»

Le fiabe da sempre nutrono la mia fantasia con le loro atmosfere gotiche e a volte orrorifiche. Negli anni sono diventata una collezionista di fiabe, da quelle dei fratelli Grimm e di Perrault a quelle dell’est, ma anche fiabe orientali dove gli uomini incontrano spiriti erranti e creature antropomorfe e fiabe del nord Europa, leggende tzigane e provenienti dalla fiandra.

Nelle fiabe ci sono sempre strade da non lasciare perché il bosco può essere pericoloso, porte da non aprire perché custodiscono segreti sepolti con il sangue, ma i protagonisti spesso infrangono i dettami della ragione per spingersi oltre il limite della conoscenza e a volte il prezzo da pagare è molto alto.

Vi svelo un segreto: La bella addormentata nel bosco è una delle mie fiabe preferite, simbolo dell’entrata nell’età adulta di una ragazza e che nella versione disneyana offre una delle sue streghe più affascinanti dell’immaginario collettivo: Malefica. Da sempre mi chiedevo cosa sognasse Rosaspina nei cento anni di lungo sonno e anch’io sognavo a occhi aperti. Sognavo di scrivere un mio omaggio a questa fiaba, ma in cui la protagonista, anziché attendere un principe azzurro, fosse disposta a combattere per quello in cui crede, a combattere per il suo amore. E proprio come in una fiaba, un giorno la mia strada ha incrociato quella di un artista che quando dipinge è in grado di donare sangue e vita alle sue creature, che siano eroine sensuali o mostri terrificanti. Si tratta di Lucio Parrillo, il cui lavoro sulle copertine dei comics della Marvel e di altri editori americani è celebrato in tutti gli angoli del pianeta. Davanti a un caffè amaro sono nate le prime scene del nostro Aurora – Sleeping beauty.

Con grande piacere vi annuncio che questo progetto sta prendendo vita e a maggio, in occasione del Florence Fantastic Festival (10-12 maggio, Firenze, Fortezza da Basso), io e Lucio presenteremo in anteprima il volume The making of Aurora, Sleeping beauty (Pavesio editore).

Di cosa si tratta e perché è un volume da non perdere? Perché permette di entrare nella cabina di regia di un progetto nello stesso istante in cui sta prendendo vita. Perché svela i segreti dietro la genesi di un’idea, con stralci del soggetto originale e i miei appunti per il disegnatore. Ci sono bozzetti e studi dei personaggi, tavole a colori e foto tratte dai momenti della lavorazione. Naturalmente non mancano i primi capitoli del romanzo Aurora – Sleeping beauty e una mia lunga riflessione su fiaba, fumetto, romanzo e i suoi punti d’approdo nella vira reale.

Il volume è in serie limitata ed è destinato a diventare introvabile con l’uscita di Aurora – Sleeping beauty. Un’occasione unica, insomma, per entrare nella nostra officina di lavoro.

La quarta di copertina: «Aurora – Sleeping Beauty racconta, tramite le parole incantatrici di Barbara Baraldi e le stupende illustrazioni di Lucio Parrillo, la storia di una principessa guerriera che non è disposta a rinunciare ai suoi sogni, che combatte contro creature spaventose per riavere il suo amore, degli occhi di un indovino che si nutre delle anime dei viandanti, di porte oltre le quali si nascondono verità scomode, di castelli in grado di spostarsi come le dune del deserto sotto i venti dell’Est, di regni dimenticati popolati di antiche divinità.»

 

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Il metodo crudele, intervista ad Alessandro Berselli

Un libro, due prefazioni. Vi sembra strano? Non avete letto il resto.
Perché Il metodo crudele è il libro più folle che ho letto nell’ultimo periodo. E io colleziono libri folli. Il linguaggio è quello delle mail, tutte dirette al professor Sigmund Crudele, che non manca di rispondere creando conversazioni che trasudano sense of humor, cinismo con una punta di surrealismo. Ma chi è codesto figuro?
Meglio chiederlo direttamente all’autore.
Vi è mai capitato, navigando su internet, di imbattervi in quei siti dove i medici rispondono a preoccupati pazienti su come abbassare il colesterolo o curare il fuoco di Sant’Antonio? In questo caso i pazienti sono schizofrenici, maniaci sessuali e fidanzate gelose e le risposte di un umorismo corrosivo, da gelare il sangue.
Oggi ospitiamo su Scritture barbariche Il cattivo, Alessandro Berselli per una sorprendente intervista in occasione dell’uscita del suo nuovo romanzo Il metodo crudele (Pendragon) che avverrà domani, 11 aprile.

Che cos’è il Metodo Crudele? E come nasce?
Chi scrive dovrebbe essere disciplinato. Fare le cose che la gente si aspetta, dare continuità al proprio “agire artistico”. Poi però a un certo punto ti chiedi: ma davvero ho voglia di rispettare le regole? Non sono noiosi i precetti? Non è più divertente l’anarchia, seguire l’istinto, le pruderie del momento? “Il metodo Crudele” è un atto di ribellione contro me stesso, la rivendicazione della mia dark side cialtrona contro la bright side ufficiale. Un libro che parte da due presupposti e una domanda. Ovvero. Gli uomini pensano solo a quello. Le donne la danno via facile. Allora qual è il problema? Sessantanove (il numero non è casuale) disquisizioni sul sesso e zone limitrofe. Becero, irriverente, scorretto

Per te rappresenta una sorta di ritorno alle origini, vuoi parlarcene?
Lo so. Sono un essere disturbato. Lo sono sempre stato, già dai tempi di “Comix”, del “Costanzo show”, di “Giuda”. Poi sono arrivate le scritture nere e ho incanalato la mia visione grottesca delle cose relative all’umano agire in storie morbose, claustrofobiche, malate. Ma la voglia di ironia, di sarcasmo c’è sempre stata. Recuperarla non è stato faticoso. Volevo tornare a scrivere qualcosa di deliziosamente ignorante che riprendesse anche il mood della mia bacheca facebook. L’obiettivo era divertire e creare una sorta di BIBBIA per la folle umanità che la popola

Chi è Sigmud Crudele?
Un guru al contrario, la negazione del concetto di punto di riferimento. La gente si rivolge a lui per condividere e risolvere follie e in tutta risposta che cosa ottiene? Altra follia, altre domande. Nonsense, insulti, discese negli abissi del più raccapricciante disgusto. Non mi sono voluto fare mancare niente. Pazienti e dottore si confrontano in una disputa dove tutti perdono. Lettore compreso.

Sei molto attivo su internet, quanto c’è della realtà nel folle universo che ruota attorno all’ambulatorio virtuale di Crudele?
Facebook è un rischio e una opportunità. Un posto dove ogni giorno ti metti in discussione, scegliendo in quale modo vuoi porti nei confronti degli amici e dei lettori. Io credo i social network abbiano una funzione di servizio, dare informazioni su chi sei e cosa fai, soprattutto per quello che concerne la tua attività pubblica, ma anche rappresentare una sorta di sala giochi, un posto dove ridere, dialogare, scherzare, ragionare. La pazzia impera nella mia bacheca, e io ne sono solo in parte l’artefice. Dare dignità a questo brainstorming di menti deviate mi sembrava doveroso. Ed ecco “Il metodo Crudele”

Cattivo con Perdisa e ora il prof.Crudele. Critiche sociali neanche tanto velate per uno scrittore arrabbiato?
Non è mia intenzione fare sociologia con le cose che scrivo. Osservo la realtà e ne parlo, ma sono più interessato alle piccole storie che alle analisi delle masse. CATTIVO parla di un adolescente che è contro tutto quello che è ordine costituito. Non è un affresco di una generazione, è una storia privata, il racconto di un ragazzo colto nella sua individualità, non vuole riassumere il mio sguardo di adulto nei confronti dei giovani. Così come NON FARE LA COSA GIUSTA non è la fotografia del fallimento dei quarantenni, ma la caduta di “un” quarantenne, analizzato nella sua specificità. IL METODO CRUDELE irride quello che nei libri precedenti diventava motivo di narrazione sofferente. Due lati diversi dello stesso scrittore. Tutto qua

So che qualcosa di importante bolle in pentola. Vuoi parlarci dei tuoi progetti futuri?
Un romanzo che uscirà nella collana Open di Piemme nel 2014, ironico, grottesco, lontano sia dalla trilogia del male (Io non sono come voi, Cattivo, Non fare la cosa giusta) sia dal METODO. Ancora una volta ho preferito scrivere quello che avevo voglia di scrivere. Forse un giorno mi pentirò di non avere dato ordine alla mia vena, ma se devo essere scrittore posso esserlo solo così. Facendo quello che mi diverte fare.

Per saperne di più il sito ufficiale di Alessandro Berselli è http://www.alessandroberselli.it/

 

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Quando il genere diventa culto: “tutte dentro” e “nero criminale”

Che cosa rientra nella cosiddetta narrativa o filmografia di “genere“? E ancora, che cos’è il “genere“, da tanti considerato di serie B e per registi come Tarantino inseguito e osannato?
Be’ la risposta a questa domanda è quantomeno personale, e per una risposta generica basta dare un’occhiata su wikipedia. Per me il genere è linfa vitale, spirito ribelle, genialità. Come ho voluto sottolineare più di una volta, sono fermamente convinta che esistano semplicemente buoni libri e brutti libri, belle storie e storie trascurabili, indipendentemente dal genere con cui vengono identificate.

Dopo questa necessaria premessa, è con grande piacere che do il benvenuto a un autore che ha fatto del genere la sua bandiera e che rimane uno dei portavoce più rappresentativi della spy story e del thriller nostrano grazie al suo fortunato personaggio, Chance Renard, il Professionista, che calca le pagine di Segretissimo da ormai dodici anni, con più di venti romanzi all’attivo, oltre a racconti e graphic novel: Stefano Di Marino. Ma Stefano è anche un appassionato ed esperto di cinema e, insieme a Corrado Artale che mangia film a colazione, hanno scritto un saggio, Tutte dentro, sul cinema della segregazione femminile, il cosiddetto cinema di exploitation . Chi potrebbe essere l’editore di questa chicca se non Bloodbuster? Come, non sapete di cosa sto parlando? Dello storico e famigerato B-movie store milanese di via Castaldi! Quel luogo bizzarro dove (cit,) gli assassini guantati di Dario Argento convivono felicemente con Lino Banfi e Alvaro Vitali, i poliziotti delle città violente anni 70 imperversano, le grida di Godzilla e le revolverate di Sartana riecheggiano furiose tra città popolate da zombi assetati di sangue mentre Bruce Lee sfida le tettone di Russ Meyer!

Parlare di Tutte dentro è doveroso, soprattutto a un giorno di distanza dalla morte del grande e da molti sottovalutato regista spagnolo Jesus Franco. Tanto prolifico quanto controverso, amava definirsi lui stesso un outsider. Rimasi ammirata quando vidi il suo Vampyros LesbosShe killed in ecstasy, entrambi con una meravigliosa Soledad Miranda, prematuramente scomparsa a soli 27 anni.

Iniziamo questa chiacchierata con il dare la parola a Stefano Di Marino. Nero criminale – I segreti di una città corrotta (Edizioni della sera) e Tutte dentro (Bloodbuster), due volumi freschi di stampa che esprimono due delle tue passioni: la letteratura hard boiled-thriller, secondo la definizione che Altieri ha creato per il tuo Nero Criminale, e il cinema di genere. Vuoi parlarcene?

SDM: Fa tutto parte della mia formazione, della mia passione, se vuoi, per la narrativa popolare che è finalizzata al divertimento, non vuole (di principio) insegnare nulla o prendere posizioni politiche e deve essere fruibile in termini di linguaggi e di costi per il maggior numero di persone. Io ho abbracciato da lungo tempo il Pulp proprio perché mi ci riconosco pienamente. L’hard boiled, nella sua versione più nera o quella più avventurosa, hanno riempito i sogni di quando ero ragazzo e così anche il cinema di genere, quello che veniva snobbato nei cineclub ma che, anche nelle pellicole più indifendibili, qualche spunto, qualche idea te la dava. Io studio continuamente queste cose, per lavoro. Per passione.

Da dove nasce l’ispirazione per Nero criminale? E come é stato ambientare un’avventura del Professionista ancora una volta nella tua città?
SDM: Nella collana Segretissimo le storie che riscuotono maggior successo sono, come è logico, quelle di spionaggio avventuroso, esotico. Però dei vari volumi dedicati a Gangland, che poi è Milano come la vivo e la vedo io, ho ricevuto ottimi pareri da parte dei lettori e, periodicamente, mi chiedono di raccontare storie nere della mia città. Così quando Enzo ‘Body Cold’ Carcello mi ha chiesto una storia nera per la collana che cura per EDS, ho deciso di tornare in campo. Un po’ anche per prendermi una soddisfazione personale nei confronti di quanti (troppi) scrivono storie nere milanesi un po’ troppo cliché, rassicuranti, venate di sfumature politiche. Nero criminale è una storia nera dura e pura. È basata su alcuni fatti avvenuti non solo a Milano ma in varie parti d’Italia e il ritratto criminale che ne esce è realistico… forse solo un po’ accentuato perché è una fiction. Ma i locali, i personaggi, i luoghi sono veri. Come sono vere le persone che popolano questa storia, basta cercare un po’ e scoprire quello che ho mascherato… è una storia piuttosto crudele, un po’ controcorrente, decisamente ‘politicamente scorretta’ ma anche il Professionista lo è.

Il cinema della segregazione femminile: registi che osavano, icone ed exploitation. dove possiamo ritrovare queste atmosfere oggi?
SDM: Eh, ahimè quel cinema è finito dagli anni 80. Proprio in questi giorni è scomparso Jesùs Franco che ne è stato uno dei grandi protagonisti, a volte con opere di qualità altre con lavori più… alimentari. Il sottotitolo ‘ cinema della segregazione femminile’ può essere ingannevole. In verità soprattutto nel Women in Prison e nel Conventuale emergono figure femminili fortissime. Alcune esagerate come Dyanne Thorne e Pam Grier altre come Flavia la monaca musulmana sono esempi (sfortunati) di femminismo ante litteram.
Chissà se i conventi erano costruiti per tenere le donne dentro o gli uomini fuori? Poi, vabbè, certo c’è il piacere di rivedere la Bouchet, la Muti con il velo (anche senza…), Rosalba Neri con le autoreggenti sotto il camice da carcerata ma, se ci guardiamo bene, i ruoli meschini sono riservati agli uomini. Insomma il giudizio sul genere è sempre in bilico.

Tutti parlano di crisi, ma nessuno cerca una soluzione. Vorrei conoscere il tuo parere da professionista indiscusso in questo campo: come far rialzare il piedi cinema e letteratura in Italia?
SDM: Io posso parlare di editoria perché il cinema mi pare oltre l’orlo del recuperabile da più di vent’anni e non è il mio campo specifico. Per l’editoria sarebbe il momento di proporre… proprio il Pulp, a basso costo, popolare ma non sciatto. Purtroppo c’è una gran massa di autori velleitari che riescono a farsi pubblicare da una casa editrice minuscola una volta e già si pavoneggiano come ‘SCRITTORI’. E intervengono, partecipano a dibattiti, sgomitano e quel che è peggio si avvolgono in bandieroni politici e crociate di cui, alla fine non importa loro veramente nulla. Vogliono la fama, il nome in copertina. Invece è la passione per il racconto che conta, la voglia di comunicare emozioni. Di questa gente andrebbe fatta una bella sfoltita. E magari se ai vertici editoriali si pensasse a trovare opere originali e a investire su idee nuove piuttosto che scopiazzare i successi del momento proponendo cloni su cloni dello stesso prodotto, magari il pubblico si allagherebbe un po’.

E per chiudere l’intervista ci consigli un libro e un film?
SDM: Se volete spaventarvi davvero andate a vedere Sinister che non è un film perfetto ma di sicuro è uno degli horror più riusciti degli ultimi tempi. Come libro vi consiglio di ripescare negli scaffali. L’ultimo che ho letto si intitola The Night of Thunder di Stephen Hunter, autore con grande conoscenza cinematografica mal proposto in passato qui in Italia ma che sicuramente ha moltissimo da insegnare.

E ora, diamo spazio a Corrado, che nel frattempo stava guardando una pellicola splatter in attesa del suo intervento. Avete scelto di parlare di un tipo di cinema molto particolare, il cosiddetto “femmine in gabbia”, perché? Cosa ti ha attirato del genere e come ti sei preparato a questa prova?
Corrado: Il progetto nasce da un’idea di Stefano cui ho aderito con entusiasmo perché discutere di un certo tipo di cinema, oltraggioso e politicamente scorretto quanto si vuole ma parte essenziale di quel che era l’exploitation in celluloide anni 70, è sempre una sfida divertente. Ti domandi: che tipo di pubblico li andava a vedere, quei film? L’impatto che potrebbero avere sugli spettatori odierni sarebbe il medesimo? Chi leggerà il nostro libro e magari si accosterà a certi titoli ne sarà incuriosito, turbato, offeso, affascinato?

Ovviamente nell’affrontare determinate tematiche mi sono sforzato di mantenere un atteggiamento obiettivo: impostare una difesa di questo filone dai detrattori non avrebbe senso, son film indifendibili e di estremo cattivo gusto ma spassosi e a mio avviso degni di riscoperta proprio per il coraggio e l’assoluto sprezzo di ciò che è convenzionale o giudicato accettabile dai benpensanti. Ho cercato di fare una cernita, sforzandomi di separare il buono dal meno buono in base agli elementi che caratterizzano il nazi-erotico e potrebbero venire incontro ai gusti di chi ama questo tipo di intrattenimento. Assurdo cercare valori estetici tradizionali in robe tipo SS Lager 5 – l’inferno delle donne di Sergio Garrone, devi chiederti piuttosto: cosa attira il pubblico in queste pellicole? Nell’ambito del genere, quanto verrebbe gradito? E, naturalmente, la regola aurea rimane quella di non prenderli sul serio e tralasciare paletti etici di sorta. Chi li realizzava non si preoccupava di quanto eventualmente sgradevoli potessero risultare, anzi più erano trucidi meglio era; che senso ha volerli giudicare moralmente oggi che potrebbero risultare perfino datati e meno osceni di quanto la sensibilità dell’epoca valutasse?

Dovendo scegliere un solo titolo rappresentativo del genere, un regista e un’attrice, che nomi faresti e perché?
Corrado: Un titolo rappresentativo rimane sicuramente “la bestia in calore”, di Luigi Batzella. Proprio perché racchiude in sé quello spirito oltraggioso, naif e spiazzante che caratterizza il filone: un nazi-porno che è anche horror, con tanto di mad doctors e un mostro creato in laboratorio che anziché spaventarti ti fa schiantare dal ridere. E poi effettacci sanguinolenti a profusione, donnine desnude (tanto per cambiare), ufficiali tanto sadici quanto ridicoli, scene action maldestre… pensare che quando lo davano al cinema Esperia di Battipaglia (SA), paese dove ho trascorso la mia infanzia, la vista degli occhi porcini di Salvatore Baccaro (il “mostro”) che campeggiavano sul manifesto pubblicitario mi inquietavano pure. Oddio, m’è caduto un mito!
Riguardo il regista, direi Sergio Garrone. Il contributo che ha dato al genere con le sue due pellicole (il sopracitato SS Lager 5 e l’altrettanto famigerato Lager SSadis Kastrat Kommandatur che meriterebbe l’oscar al titolo più originale) è notevole, raramente s’è visto qualcosa di altrettanto efferato (ed esilarante, of course. Ci provavano a farli seriamente ma alla fine…)
Infine, l’attrice. E qui la scelta non può cadere che sulla giunonica Dyanne Thorne, ovvero la celebre Ilsa le cui nefandezze hanno dato il via a tutto. E’ una sorta di Vampirella nazi, deliziosamente perversa e non priva di quello spirito auto-ironico (in linea di massima voluto ma non ci metterei la mano sul fuoco) che in fondo è quel che mi garba davvero in questi piccoli gioielli trashosi e grondanti emoglobina e sudicerie.

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Caro diario…

I ricordi che nel bene e nel male ci rendono ciò che siamo e l’importanza della memoria sono tematiche che ritornano in tutti i miei romanzi. I personaggi devono compiere molto spesso un viaggio all’interno di loro stessi e dei propri ricordi per ritrovare la via della felicità, la libertà o per abbattere la paura. Tutto questo è il tema portante di uno dei miei ultimi lavori, “Un sogno lungo un’estate” in cui Matilde, la protagonista, apre lo scrigno della memoria per liberare i fantasmi del passato. Questa breve premessa per parlare di una giornata speciale che ha coinvolto un gruppo di ragazzi delle scuole medie di Cerese di Virgilio per creare un diario scritto con stralci di ricordi di ognuno dei partecipanti. Ma ora preferisco lasciare la parola all’organizzatrice di questo evento, Alessia Colognesi de Il giardino dei Viandanti, che si è fatta “voce del diario” e, insieme alla sottoscritta, a prof straordinari e a un gruppo di ragazzi attenti (che a Matilde sarebbero sicuramente piaciuti) ha dato vita a un esperimento e a una giornata che porterò sempre nei miei, di ricordi.

L’articolo che segue è stato scritto da Alessia Colognesi, le foto sono della prof Alessandra Capra.

Caro diario,oggi ti vogliamo raccontare della nostra prima esperienza in gruppo insieme. Siamo cento ragazzi della seconda media di Cerese di Virgilio.

Sì, hai capito bene, siamo 100, te lo dico con i numeri così non ci sono dubbi. È una mattinata fredda di febbraio 2013, ha da poco smesso di nevicare, sono le 9 di mattina e siamo a scuola, in aula magna per un incontro molto speciale.

Ma… partiamo dall’inizio, quest’anno a scuola, grazie alla nostra nuova prof. d’italiano, abbiamo provato a scrivere per la prima volta un diario di classe così ognuno, ogni giorno, poteva mettere i suoi pensieri su un grande libro che tutti potevamo leggere.

Ma cosa si scrive in un diario?
Quello che vuoi, come vuoi e quando vuoi…L’abbiamo imparato nel tempo.

All’inizio non sapevamo bene cosa scrivere in quello strano quaderno di tutti e spesso, durante le ore di italiano per raccogliere i pensieri abbiamo cercato di raccontarci i nostri ricordi più vecchi.

Per trovare ispirazione è stato molto utile anche ascoltare i racconti più lontani di ognuno di noi.

Una volta poi, è stato davvero emozionante. Aspetta ti racconto.
Lo sai che si può imparare a ricordare leggendo un romanzo?

In classe abbiamo letto insieme alcune pagine di “Un sogno lungo un’estate”, un romanzo di Barbara Baraldi che parla di un segreto nascosto in una casa di campagna abbandonata.

E sai che cos’era quel segreto? Dai non ti voglio svelare la fine…Però ascolta.

Non ci crederai: tantissimi ricordi! Nascosti in un vecchio mulino dove Legnani, un aviatore sopravvissuto alla seconda guerra mondiale, si era rifugiato per paura della guerra.

Molti anni più tardi, un gruppo di ragazzi come noi durante un’estate molto speciale, ha trovato sotto una botola segreta di quel rifugio di campagna un sacco di iuta con dentro un tesoro. Moltissime lettere e fotografie in cui quell’uomo in fuga per dimenticare la distruzione della guerra aveva ritrovato, grazie alla scrittura la forza di raccontare per ricordare.

Tutto quel suo impegno a ritrovare la memoria di un ricordo ci ha colpito molto e oggi.
Bhè eccoci a oggi.

Sai perché siamo qui in aula magna?

Un corso di scrittura che si chiama “A piedi nudi nel diario”, per una mattina si è trasferito a scuola e oggi.

Sai cos’è successo?Abbiamo conosciuto Barbara.

Chi è?

Sì, sì, hai capito bene, la scrittrice di “Un sogno lungo un’estate”. Quella del romanzo che abbiamo letto per imparare a ricordare.

Dopo aver chiacchierato a lungo con noi e averci svelato i segreti della scrittura ci ha mostrato il ricordo più caro che ha e che porta sempre con sé.

E noi? Sai cos’abbiamo fatto?

A sorpresa le avevamo portato i nostri ricordi più belli.

C’era di tutto: delle fotografie, dei peluche, delle bacchette da batteria, dei trofei, delle medaglie d’oro, ognuno è salito sul palco vicino a Barbara e le ha raccontato del suo ricordo. Come lei aveva fatto con la sua piccola trottola di legno.

Alla fine divisi in gruppo abbiamo scritto una pagina di diario molto speciale, dovevamo raccontare in gruppo il nostro ricordo più importante e Barbara dopo aver letto a tutti noi le pagine di diario che le avevamo regalato le ha portate tutte via con sé dentro il sacco di Legnani in cui ci ha detto custodirà la memoria di questa giornata speciale.
Ah abbiamo un’ultima cosa da dirti! Ed è molto importante…
Lunedì 4 marzo 2013 dalle 17 alle 19 Barbara Baraldi tornerà a Cerese di Virgilio per l’ultima lezione di “A piedi nudi nel diario”, e terrà un incontro sul diario, la comunicazione tramite il web e la scrittura.

“Un diario nella rete” è aperto a tutti. SALA GAP, Via Verdi 41, Virgilio. Mantova.

 

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La neve sulle rovine

Era da un po’ di tempo che non vi aggiornavo sulla situazione post terremoto e ho deciso di farlo oggi approfittando del fatto che uscendo in paese mi sono resa conto, con gioia e sorpresa, che finalmente hanno riaperto tutte le vie del centro. Sì, perché da maggio alcune vie erano ancora chiuse, con i cumuli di macerie al lato della strada.

I telegiornali non ne parlano più e ormai sembra tutto dimenticato, inseme alle ceneri del vecchio anno, ma a San Felice non esiste ancora il centro commerciale che doveva racchiudere i negozi del centro storico e aprire lo scorso ottobre. Alcuni commercianti stanno aspettando con im-pazienza, altri resistono nelle minuscole casette prefabbricate, altri ancora hanno allestito esercizi improvvisati nel garage di casa. Ci si fa forza, si resiste con orgoglio, ma non è facile.

Ho scattato alcune foto tra la neve, i portici e i vecchi palazzi sembrano dinosauri sorretti da palafitte in un mare bianco. Spero che la primavera sciolga non solo la neve, ma nuove prospettive. Perché la gente è delusa e stanca e arrabbiata.

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Danze illiberali

Già dai titoli delle canzoni, il nuovo album degli Stardom, Danze illiberali, è poesia decadente.
Anna di notte perduta in Attimi isterici che sfociano in Anni cannibali, compone il Puzzle della sua esistenza e lo scrive D’istinto ai Magazzini criminali.
Canzoni ipnotiche dove gli echi new wave prendono per mano assonanze punk e che esprimono disagio, ma ancora voglia di ribellione, di gridare la propria opinione attraverso la musica.

Oggi ho il piacere di ospitarli su Scritture barbariche per un’intervista che ci svela cosa c’è dietro questa loro ultima fatica.

Dopo Soviet della moda, è uscito in questi giorni il vostro nuovo album, Danze illiberali. Un titolo che non passa inosservato, quanto la copertina, intrisa di una poesia decadente. Ci potete svelare la genesi di questo nuovo progetto?
Danze illiberali, come già Soviet della moda, è un titolo che gioca sullo scontro semantico delle parole. Che poi è lo stile proprio degli Stardom anche nel comporre i testi. In Soviet della moda lo scontro avveniva tra l’ambito politico – col richiamo alla guerra fredda – e la moda, con la (apparente) spensieratezza del suo mondo patinato. Danze illiberali, invece, rimanda alla crisi generalizzata che stiamo vivendo oggi: neppure la danza, che è una manifestazione di leggerezza, libertà e svago, riesce a diventare una bolla felice, perfettamente impermeabile alla grevità e alla cupezza di questa fase storica depressa e deprimente, fondamentalmente infelice, caratterizzata da un senso di oppressione che tanto ha più presa quanto meno si riesce a definirne l’esatta origine e i confini. Di nuovo, è facile attribuire a “illiberale” una connotazione politica, ma sono diversi gli aspetti della vita in cui ci ritroviamo a provare un senso di soffocamento, di imposizione. Ecco allora che non si rinuncia a danzare, però lo si fa costretti in passi e movenze decisi e imposti da altri, ma anche da noi stessi, cioè da una rappresentazione inattuale e forse nostalgica di ciò che eravamo e che non siamo più: «Danze moderne, danze illiberali / passi obbligati, voleri impopolari / danze moderne per essere reali».

Il secondo album è sempre una prova impegnativa, soprattutto dopo un album d’esordio di successo. Come avete affrontato questa sfida?
Direi, con un paradosso, ricordando e poi dimenticando cosa avevamo fatto nel primo album. Nel senso che eravamo consapevoli di ripartire da un prodotto di buona qualità, ma in esso non abbiamo mai pensato di trovare una “formula vincente” da riproporre, se non l’alchimia dei nostri estri e personalità, di cui il primo album è stato espressione. Quindi, nessuna pietra di paragone a gravarci nel lavoro. Semplicemente, ci siamo lasciati guidare da un naturale senso di continuità di atmosfere, sonorità, immagini che ci sono sempre appartenute, ma al quale abbiamo dato forma con uno spirito e un gusto che nel frattempo, come è normale, sono mutati.

Forse il filo conduttore tra i due dischi è la pungente critica alla società moderna, ma il tutto reso con testi poetici e note ipnotiche. Chi sono gli Stardom oggi? E qual è il loro intento comunicativo?
Domanda impegnativa! Chiedere chi sono gli Stardom oggi significa chiedere chi sono le persone che costituiscono gli Stardom. Ognuno di noi dovrebbe dire la sua e chi sa che non ne verrebbe fuori un libro per ciascuno, o una serie di inquietanti punti interrogativi… Facciamo critiche pungenti? Non saprei, a noi sembra di raccontare quel che fiutiamo nell’aria. E probabilmente ciò che fiutiamo e respiriamo è di per sé meritevole di critica. Rispetto a questo ci viene naturale contrapporre, come nell’incontro/scontro «tra il mio ego e il suo nemico» di D’istinto, una nostra volontà di affermazione, che non ha niente a che fare col presenzialismo, il protagonismo a tutti i costi o una brama furiosa di successo: è la volontà di esprimere le proprie aspirazioni, di manifestare desideri, di proporre «credo estetici, amore e fedeltà» (Attimi isterici) perché questo, e questo soltanto, ci dà un senso. Delle cose, della vita.

Quanto è importante la dimensione live nell’identità degli Stardom?
Sempre più importante. Non solo perché dopo mesi rinchiusi in un bunker a registrare, abbiamo voglia di spazi aperti, ma anche e soprattutto perché desideriamo condividere, condividere e ancora condividere… La dimensione digitale è potentissima e comoda, non si può negarlo, ma non ci basta. Okay essere collegati alla Rete, che oggi è quasi imprescindibile per potersi definire “reali”, ma ciò non toglie che dobbiamo soprattutto essere collegati col tessuto della realtà, con l’umanità in carne e ossa. D’altra parte, se guardiamo la situazione attuale e la confrontiamo con quanto l’era di internet sembrava promettere, dobbiamo concludere che, almeno nell’ambito della musica, la rivoluzione è fallita, o abortita: non si è creata nel web una comunità così articolata, dinamica e capace di esprimere e scambiare il patrimonio musicale in modo davvero efficace e produttivo. Myspace, per chi fa e ama la musica, era molto promettente, ma è naufragato di fronte al colosso di Facebook, ben poco funzionale rispetto alle esigenze della musica. Il risultato è un ingolfamento generale, un rumore di fondo che ottenebra, disincentiva e scoraggia l’ascolto attento e l’esercizio dello spirito critico. Ecco perché, almeno per adesso, la realtà fisica rimane vera almeno quanto quella digitale. Ecco perché sentiamo potente il bisogno di muoverci ed esistere nello spazio fisico, il bisogno del calore e del chiasso delle persone, di sudore e luci, di ampli che fischiano e di palchi che gemono e scricchiolano sotto i nostri salti.

Per saperne di più: www. stardom.it

 

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Desdemona: gli occhi insonni della notte

 “Per Desdemona, che cavalca la notte su Radio Strega e trasporta i sogni attraverso le note melodiche della sua voce. Per Desdemona, strega metropolitana, voce suadente che sussurra a chi ha voglia di vivere da insonne sognatore.”

Questa frase l’ho scritta qualche tempo fa per lei, Desdemona, l’affascinate protagonista de L’Insonne, un fumetto nato nel 1994 e che non ha mai smesso di sorprendere. Perché Desdemona è una sorta di moderna femme fatale, una dj che ha regalato la sua voce alla notte e ha una sensibilità particolare che le permette di entrare in contatto con storie e situazioni ai limiti della realtà. Durante la sua trasmissione serale su Radio Strega, Desdy incontra il popolo del crepuscolo, quelli che non dormono, chi nasconde segreti e combatte contro le proprie paure. La trama dai risvolti gialli con sfumature noir, non fa mancare intrighi politici e misteri storici, tra sette esoteriche e colpi di scena. E ci tengo a sottolineare che, caso più unico che raro, la serie a fumetti è ambientata in Italia.

Con grande piacere vi annuncio che il nostro ospite di oggi è proprio Giuseppe di Bernardo, creatore insieme ad Andrea Polidori de L’insonne, disegnatore per Diabolik e non solo, tra i creatori di personaggi di culto come Cornelio – Delitti d’autore, sceneggiatore, docente presso la Scuola Internazionale di Comics di Firenze e attualmente editor per Star Comics.

 

Ciao Giuseppe, benvenuto su Scritture Barbariche. L’insonne ha avuto una vita editoriale avventurosa. Vuoi parlarcene?
Avventurosa e piena di misteri, proprio come le sue storie. In breve, Desdemona nasce nel 1995, figlia prediletta mia e di Andrea Polidori. Nasce durante tante notti fiorentine, buie e nebbiose, nasce nei luoghi battezzati col sangue dal Mostro e di quella vicenda credo sia un po’ figlia. Una adolescenza passata a sentir parlare di delitti di cronaca nera ci ha certamente condizionati nei gusti letterari. Così ecco L’Insonne, un thriller esoterico, ambientato all’ombra di Santa Maria del Fiore. E’ stata pubblicata per la prima volta nel 1995 da un piccolo editore romano vissuto il tempo di un colpo di rasoio, sempre per restare in tema. Tre numeri che però hanno lasciato qualcosa: l’affetto dei lettori e in noi il disagio di aver ancora tanto da dire e di non averne avuto il tempo. Desdemona, come una gatta dalle tante vite, si è incarnata numerose volte, sempre per piccoli editori, fino al 2005, quando è stata rilevata dalla Freebook e riproposta in edicola. Undici numeri che l’hanno fatta conoscere al grande pubblico, anche se, malgrado alcuni premi vinti, i numeri, editorialmente parlando, erano ancora piccoli. Mentre Andrea Polidori propendeva, per un taglio più giallo, in me si agitava uno spirito occulto, esoterico, fatto di coincidenze e antichi segreti. Così, quando Andrea mi ha lasciato il timone del veliero, probabilmente la mia vena misterica ha prevalso. Poi la crisi con Freebooks, il passaggio alle Edizioni Arcadia dell’amico Mario Taccolini, e gli ultimi tre episodi della serie pubblicati per le librerie specializzate. La storia è giunta ad un epilogo, ma, dentro il mio cuore resta sempre la netta sensazione che Desdemona abbia ancora molte storie da raccontare. Storie che sono diventate audiofumetti, un romanzo e tanti fumetti da leggere gratis on-line. Oggi, intanto, la serie è disponibile per iPad e iPhone e presto anche per tablet Android.

Come è nato l’affascinante personaggio di Desdemona? Fonti di ispirazione e colonna sonora.
Desdemona prende vita nella mia testolina mentre ero ancora chino sui banchi della Scuola Internazionale di Comics di Firenze. A pensarci oggi sembra davvero un miracolo. Avevo alle spalle una piccola parentesi da speaker radiofonico e la radio, specialmente quella notturna, mi era rimasta dentro. Le sue atmosfere fumose, i suoi pazzi ascoltatori e le loro assurde telefonate in diretta. Stanco di detective e poliziotti, mi convinsi che anche una deejay, a cui gli ascoltatori si confidavano, potesse essere la protagonista di indagini a fumetti. Così è nata Desdemona Metus, un nome che è tutto un programma. Desdemona, vuol dire “avversata dalla sorte”, mentre Metus significa “timore”. Le ispirazioni ci sono arrivate da film come Talk Radio e dalla serie Voci nella notte, ma anche da Stregati di Francesco Nuti, dove la radio in cui lavora il protagonista si chiama proprio Radio Strega. Desdemona non è ispirata a nessun personaggio reale, anche se nella nostra idea originale, doveva essere costruita sul volto e la fisicità di Winona Ryder, purtroppo un volto troppo complicato da rendere per un gruppo di disegnatori alle prime armi. Tornando alle ispirazioni letterarie, certamente sono rimasto molto influenzato da “Gioventù cannibale” una antologia che raccoglieva racconti noir e grotteschi di Lucarelli, Ammanniti, Teodorani ecc, anche se le storie de L’Insonne erano soprattutto dei thriller esoterici, genere che sembra molto di moda adesso. Una strada che forse abbiamo percorso troppo in anticipo. Essendo ambientata in radio, la musica è stata certamente importante. Croce e delizia, perché si sa che ognuno ha i propri gusti musicali e le proprie fissazioni. Nella serie abbiamo citato tanti generi diversi, dall’heavy metal al rap, passando per i cantautori italiani. Il metodo di scelta era la coerenza del testo con quello che accadeva nella storia, ed è successo più volte che fosse proprio una canzone ad ispirare una trama.

Nella serie avete trattato misteri reali, fatti storici e intrighi politici mescolando il tutto con storie fantastiche e leggendarie. C’è un argomento o un mistero a cui sei particolarmente legato?
I fatti storici narrati nella serie del 2005 sono molti, anche se spesso non citati chiaramente. Si parte dall’eccidio di Sant’Anna di Stazzema e dell’armadio della vergogna, si passa dalle crociate dei fanciulli, fino ad arrivare alla vicenda di Ayad Anwar Wali e la vita del pietrificatore Gerolamo Segato. E ce ne sono tanti altri, che magari sono di contorno e si limitano ad una semplice citazione. Certamente, come dicevo prima, la vicenda del Mostro di Firenze è quella che mi ha accompagnato durante tutta la stesura della serie. Nel 1994, mentre disegnavo il primo episodio, ascoltavo le trasmissioni del processo Pacciani, mentre nel 2004, mentre scrivevo la nuova serie, erano in corso le indagini sui “compagni di merende” e sui presunti mandanti. Indagini che non hanno portato a nulla ma, a mio modesto parere, proprio per l’entità di quei mandanti. Dei delitti di Firenze, però, non ho mai parlato chiaramente. Se Desdemona dovesse avere una ennesima occasione, magari nel 2015, in modo da tornare in edicola ogni dieci anni, credo che affronterò di petto la questione. Mi piace partire da vicende reali, di cronaca, e costruirci sopra una storia diversa, magari con diversi chiavi di lettura. Tutta la serie de L’Insonne, è divisa in capitoli che rappresentano le varie fasi della trasmutazione alchemica: Nigredo, putrefactio, albedo e rubedo. E non si tratta solo di una scelta superficiale. Ad esempio, al termine del 6° episodio, la nostra protagonista, vede il padre uccidere una persona. Naturalmente questo provoca in Desdemona un grande strazio e un cambiamento interiore. Ecco, la scena si svolge in una camera sotterranea che rappresenta il forno alchemico in cui il piombo inizia la sua trasformazione. La data di nascita della nostra deejay è il 17 gennaio, e per gli esoteristi, quella data rappresenta l’epifania occulta, il mistero che si manifesta. Questo impianto esoterico però, stride con la personalità di Desdemona, che è cinica e assolutamente scettica, e che attribuisce le strane cose che vede ad un delirio della sua insonnia. Lei non dorme, e quindi gli incubi vengono a trovarla da sveglia.

Cosa ne pensi della situazione del fumetto in Italia oggi?
Il fumetto sta attraversando un momento difficile, e dai momenti di crisi si esce con le idee. Sono certo che presto arriverà un nuovo eroe a salvarci, nel senso che prima o poi, quella misteriosa alchimia del successo toccherà a qualcuno, e quel personaggio farà da apripista per una nuova generazione di fumettisti e di case editrici. Da editor della Star Comics cerco di dare il mio contributo, cerco di applicare le mie idee, e non mi resta che aspettare fiducioso.

Un augurio a Desdemona…
Le auguro di diventare eterna come tanti altri eroi dei fumetti che l’hanno preceduta. Mi piace fantasticare che quando io non ci sarò più, lei sarà ancora presente qualche scaffale di una libreria e che un ragazzino, passando di là, venga catturato dal suo sguardo magnetico.

Vi ricordo che Enrico Ruocco ha creato una raccolta firme per riportare L’Insonne in edicola. Se volete farvi sentire e partecipare, questo è il link:
http://firmiamo.it/aiutaci-a-riportare-il-fumetto-l-insonne-in-edicola-1

Per saperne di più:
Il blog dedicato a L’insonne: http://insonnecomics.blogspot.it/

 

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